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  • 28/04/2024 13:11

Perché la figura di Indro Montanelli, tra i più insigni giornalisti italiani, è così controversa?

  

Perché la figura di Indro Montanelli, tra i più insigni giornalisti italiani, è così controversa?

Forse perchè, nella sua inconfutabile intelligenza, è sempre stato un uomo libero. E liberale.

Perché è sempre stato un convinto anticomunista e questo da noi, ancora oggi, 25 aprile 2024,   dopo 79 anni, è un peccato imperdonabile.

“Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”. Ha sempre e ripetutamente sostenuto che il fascismo è morto in piazzale Loreto con l’uccisione di Benito Mussolini. Qualcuno sostiene che aveva torto. Altri il contrario.  Dopo quasi un secolo dovremmo davvero storicizzare, finalmente.

E  prooccuparci non tanto del fascismo, ormai sepolto,  ma dell’antisemitismo strisciante e neppure tanto. Davvero preoccupante. Oggi a  Roma,  un 25 aprile a rischio antisemitismo. La comunità ebraica si tiene alla larga dal corteo dell’Anpi, ma antagonisti e collettivi vanno a cercarla a porta San Paolo.

Ma in realtà   Indro non ha mai risparmiato nemmeno la destra, quando era necessario

Ricordiamo la sua   litigata con Berlusconi, che fece epoca.

Un liberale dallo spirito critico, che ogni liberale dovrebbe avere.

Insomma, un maestro di Libertà e pensiero indipent.  La sua Storia d’Italia, pur nei limiti di un’opera divulgativa, è una delle più piacevoli che sia possibile leggere, ma  trascurata..

Controverso per chi e cosa? Per la moglie comprata in Africa . Purtroppo  era cosa comunissima in quei luoghi e  quei tempi . Terribile, ma nessuno è perfetto e l’usanza di allora era questa, ancorchè abominevole.

Pensare che questo accade anche oggi, nell’Islam,  è inqualificabile.  Eppure alcuni italiani   accettano questa nefandezza    e la scusano chiamandola cultura altra.

Scriveva, per il lettore,  libri che  hanno appassionato e avvicinato alla Storia tante persone che la storiografia ufficiale teneva a distanza . Ebbene, sì, fiero anticomunista, (continua https://www.pensalibero.it/perche-la-figura-di-indro-montanelli-tra-i-piu-insigni-giornalisti-italiani-e-cosi-controversa/)

I commenti

Non era un liberale. Questo spiega tutto. Fine.

anonimo - 02/05/2024 00:55

Tutti i personaggi pubblici si rendono prima o poi protagonisti di litigi, polemiche o brutte figure durante la loro carriera, non è una prerogativa solo di alcuni settori dell’intrattenimento né di una particolare categoria di celebrità, è umano. Ci sono però diversi modi di reagire alla figuraccia, allo scontro mediatico che si accende e ti catapulta dalla parte dell’errore: puoi fare un passo indietro e chiedere scusa, magari, o puoi arrampicarti sugli specchi tirando fuori argomentazioni che distolgano l’attenzione dal tema principale, tecnica retorica piuttosto semplice conosciuta anche come benaltrismo, il famoso “E allora il Pd?”. Questo tipo di scappatoia è talmente gettonata nel dibattito pubblico di oggi – basti pensare al recente esempio di Salvini ospite da Floris – da essere stata utilizzata anche per una polemica vecchia di decenni che è tornata in auge di recente, ossia quella che riguarda la statua di Indro Montanelli e l’automatismo che genera qualsiasi presa di posizione contro il giornalista: “E allora Pasolini?”.


Prima di entrare nel vivo della questione Pasolini contro Montanelli, usati come fossero due bandiere da sventolare in uno scontro dialettico per decretare chi merita la medaglia d’oro da intellettuale del Novecento italiano, credo sia il caso di fare un po’ di chiarezza sul concetto stesso di benaltrismo e sui suoi fidi sostenitori. Sarebbe infatti sano per l’intera società in cui viviamo se, superata l’età delle divisioni in colonna – unico momento della vita in cui è concesso ragionare in questi termini – questa sorta di gioco di prestigio logico molto elementare decadesse, così come l’uso della penna cancellina. Nella realtà, però, il benaltrismo costituisce spesso la chiave argomentativa di politici che ricoprono cariche tutt’altro che secondarie. Donald Trump lo utilizza volentieri, per esempio. Non c’è motivo per cui si dovrebbe rispondere a una domanda facendo un’altra domanda se non per rivelare la propria impreparazione sul tema o l’esigenza di evadere dal quesito, ed è la stessa identica cosa che è successa nel momento in cui si è tornati a parlare del passato problematico di Indro Montanelli in relazione a ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti con le proteste del movimento Black Lives Matter. In più stiamo parlando anche di due monumenti completamente diversi: per Montanelli, di una statua celebrativa nel centro di Milano, per Pasolini una stele commemorativa nel luogo in cui è stato ucciso.




Pier Paolo Pasolini è infatti il soggetto preferito da tirare in ballo nel momento in cui si riaccendono le polemiche sulla statua di Montanelli o in generale sulla vita di questo giornalista che, per quanto piena di punti oscuri e buchi di sceneggiatura, sembra un perfetto concentrato di italianità: se nel caso del primo la vita personale diventa un’arma da tirare fuori quando torna utile, nel secondo invece, per qualche oscura ragione, si trasforma in un dato prettamente secondario. Montanelli è il simbolo di un secolo in tutte le sue fasi schizofreniche e contraddittorie, è stato fascista ma anche antifascista, è stato con Berlusconi ma anche contro Berlusconi, è stato borghese ma anche anti-borghese – ospite da Arbasino sosteneva che il suo giornale fosse per il popolo, per la gente semplice, mica per gli intellettuali – e soprattutto, perfettamente in linea con il modo che abbiamo in Italia di affrontare il tema del colonialismo, è stato un valoroso “civilizzatore di neri” ma anche un mite benefattore che ha sposato una bambina di dodici anni per usanza dei tempi, nello specifico il madamato, non perché pedofilo o schiavista. Indro Montanelli, nella sua lunga e articolata vita all’insegna dell’avventura novecentesca, ha raccontato tanto di sé e della storia italiana, e lo ha fatto sempre in modo molto personale. Così personale da essere diventato un esempio di scrittura brillante e unica, ma anche di auto-fiction e inesattezze storiche.

Non è infatti verificato, se non tramite i suoi racconti postumi, che questa bambina africana di dodici anni – o quattordici, dipende dal racconto – sia esistita davvero e che una volta rivisto il giornalista anni dopo lo abbia chiamato affettuosamente “Papà!”. Non è chiaro se si chiamasse Destà o Fatima, così come non è chiara la storia raccontata da Montanelli sulla sua intervista a Hitler fatta dopo aver urinato dietro a un cespuglio in piena guerra mondiale; ma oltre alla questione fake news ante litteram diffuse da Montanelli, quando si chiamavano semplicemente balle – cosa non proprio allineata con il codice deontologico dei giornalisti – ci sono diversi dettagli della sua biografia che lo collegano a movimenti terroristici anti-comunisti sponsorizzati dagli americani. Montanelli non ha mai nemmeno avuto timore di esporre la sua vicinanza al generale nazista Priebke, concludendo una missiva al criminale di guerra con parole come “Auguri signor Capitano”. Per non parlare della sua finta carriera da partigiano antifascista e di tutti i suoi giochi di cerchiobottismo in bilico tra una corrente e un’altra, in base a dove convenisse di più al giornalista schierarsi. Insomma, nonostante esistano diversi punti piuttosto controversi sul personaggio, compreso quello della pedofilia sbandierata con orgoglio a più riprese fino a poco prima della morte – quindi nel 2000 e non nel 1936 quando era una “questione di contesto” – la sua figura continua a essere difesa a spada tratta senza mettere in discussione nemmeno per sbaglio l’aura di intoccabilità che lo avvolge, non solo come essere umano ma anche come giornalista, specialmente quando si parla della sua statua.




E qui entra in gioco Pasolini, dal momento che parlando delle controversie sessuali di Montanelli non si può certo non tenere conto di ciò che ha fatto un intellettuale che viene osannato nonostante fosse anche lui colpevole di pedofilia e di corruzione di minore. “Se togliamo la statua di Montanelli, perché lasciamo quella di Pasolini?” è la stessa piroetta logica che accompagna paragoni tra una statua di bronzo di un personaggio ottocentesco del quale probabilmente quasi nessuno conosce più il nome e il Colosseo: se tocchiamo i simboli del colonialismo allora dobbiamo anche abbattere quelli dei feroci giochi perversi con cui si intrattenevano i romani duemila anni fa. Sono abbastanza certa che se chi pensa queste cose si fermasse un attimo a riflettere sul fatto che imbrattare o rimuovere la statua di un colonialista o schiavista non equivale né legittima l’abbattimento di tutti i monumenti che esistono sulla Terra ma che è un’azione mirata a colpire uno specifico simbolo (e che è peraltro un’usanza vecchia di millenni), allo stesso modo potrebbe ricredersi sull’equivalenza Montanelli-Pasolini in termini di peccati morali per salvare il primo e screditare il secondo. Anche perché, e qui penso risieda il nodo centrale della questione, non è solo sui peccati morali che dovrebbe concentrarsi il dibattito, dal momento che è impossibile trovare una persona sulla Terra che non abbia mai commesso degli errori. Errori con diverse gradazioni di gravità, certo, ma pensare che tutti gli scrittori e le scrittrici, così come gli artisti e le artiste della storia dell’umanità, abbiano una biografia candida e priva di qualsiasi difetto morale è quanto meno demenziale. Giustificare i trascorsi biografici di un qualsiasi personaggio pubblico non aggiunge nulla all’eredità che questo ha lasciato, così come insabbiarli o fare finta non siano esistiti.




Il punto semmai è capire nel presente in che modo sono stati affrontati i “lati oscuri” della propria esistenza e quanto questi abbiano influenzato il loro valore artistico: se uno scrittore ha commesso un crimine che nel Settecento non era considerato tale è inutile pensare di metterlo in carcere nel 2020; allo stesso modo però, non è detto che certi idoli e miti del passato non siano semplicemente invecchiati male. Forse la prova per capire se un intellettuale sia effettivamente così degno di questo titolo è interrogarsi su quanto si discuta delle sue opere col passare degli anni e quanto della sua vita privata: nel caso di Montanelli, per esempio, è piuttosto raro sentire un’argomentazione in sua difesa che comprenda nello specifico una sua opera letteraria; e la storia all’università, come ha notato qualcuno, si studia su altri testi, non proprio sul suo Storia d’Italia.

Pier Paolo Pasolini ha vissuto la sua intera esistenza nel conflitto sociale e morale – stando agli standard etici del Novecento – che gli costava la sua omosessualità e il suo rapporto morboso, affezionato, problematico con i giovani del popolo che pagava per avere del sesso in cambio. Queste sue usanze gli sono costate la reputazione, la tessera del Pci, la dignità in molti casi e forse, secondo alcuni pareri, anche la vita, dal momento che la storia della sua morte è ancora avvolta nel mistero, nonostante venne assolto sia per quanto riguarda le oscenità dei suoi libri sia per alcune vicende che lo coinvolsero. Ma una cosa è certa, e chiunque abbia mai letto un romanzo come Ragazzi di vita può confermarlo: Pasolini, da grande scrittore quale era, ha incanalato tutto il tormento della diversità – in un’epoca in cui era additata come crimine – nella celebrazione di quei ragazzini poveri e disgraziati che popolavano le borgate da lui descritte. Nel modo in cui li ha raccontati, ultimi e dimenticati, Pasolini ha reso loro una dignità umana e artistica che probabilmente nessun altro sarebbe stato in grado di tirare fuori dal contesto orrendo in cui si ritrovavano, nonostante le controversie che riguardano il rapporto tra questi giovani romani e lo scrittore. Non si può leggere un romanzo di Pasolini o guardare un suo film senza notare la presenza di questo elemento estetico e narrativo che avvolge tutte le sue opere, e non si può nemmeno escludere la parte più torbida e moralmente condannabile. Ma il bianco e il nero del suo racconto, comprese le parti più basse e misere, compongono una dimensione eterna e incancellabile, molto più vivida e forte di quanto una qualsiasi statua celebrativa per un qualsiasi ragazzo di vita potrebbe essere. Possiamo cancellare ciò che ha fatto Pasolini di sbagliato nella sua vita? Certamente no, così come non possiamo farlo con nessun altro, nemmeno con noi stessi; e comunque non avrebbe senso. D’altro canto però, è disonesto e ridicolo mettere a paragone le esperienze di vita di due uomini completamente diversi solo perché hanno in comune un dettaglio puramente giuridico che li associa.







Indro Montanelli non si è mai assunto la responsabilità di un atto deprecabile come quello di sposare una bambina di dodici anni ma anzi, lo ha sempre rivendicato come cifra virile della sua personalità, senza aggiungere nulla a questo racconto se non l’arroganza di sapere di essere comunque nel giusto e di rivendicare un diritto alla prevaricazione. Pier Paolo Pasolini, così come tantissimi altri scrittori e scrittrici che hanno sublimato i loro errori e i loro difetti in arte, ha regalato al mondo un ritratto di una realtà che sarebbe rimasta taciuta se non ci fosse stato lui a raccontarla. Il fatto che oggi una generazione rifiuti il valore simbolico di Montanelli non ha molto a che vedere con un processo postumo al valore intellettuale di questo personaggio, ma piuttosto al ruolo storico irrisolto che rappresenta.

Il valore di Pasolini o di qualunque altro artista, uomo o donna che sia, non può essere determinato dal candore morale che incarna, dal momento che sarebbe ipocrita credere che i nostri idoli letterari, cinematografici o sportivi siano del tutto privi di qualsiasi vizio o incapaci di commettere crimini. Il compito dell’arte, da che mondo è mondo, è proprio quello di renderci comprensibile e visibile ciò che c’è di più sbagliato e assurdo nell’essere umano, altrimenti Euripide non avrebbe scritto nessuna Medea. Personalmente, non credo che i libri o i film o qualsiasi altro testo si fruisca in base al curriculum di chi lo ha scritto, così come credo che ci sia una grande differenza tra una semplice statua in un parco e un intero corpus letterario, giornalistico e televisivo che testimoni ciò che ha lasciato Indro Montanelli. Rimuovere una statua è un gesto simbolico, bruciare un libro è un gesto stupido, e questo vale sia per Montanelli che per Pasolini che per chiunque passi dalla storia culturale di un’epoca. Chi si sente minacciato dalla deturpazione di una statua dovrebbe sapere che l’eredità intellettuale di un personaggio si tramanda con le sue opere, non con il bronzo, e forse questo può anche dare la misura del perché a nessuno è venuto in mente di andare a Ostia a gettare vernice su un monumento che è stato costruito là.

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Elio - 01/05/2024 21:07

Era un qualunquista con una faccia particolare da filosofo esperto del nulla

Mina - 01/05/2024 21:05

che destino il suo: uno stupidotto qualsiasi, carico di testosterone, elevato al rango di "grande giornalista" da un paese analfabeta e retrogrado. È ovvio poi che le teste pensanti cerchino di mettere i puntini sulle i, e di spiegare (inutilmente) che razza di stupidotto fosse. Ma non c'è verso: Indro è un'icona, un santino dell'Italia bigotta e menefreghista. Hai voglia di spiegare… è come cercare di spiegare chi era padre Pio. è la stessa cosa…

anonimo - 01/05/2024 13:09

Ma che vi è preso per questo Montanelli?? Commenti chilometrici.... mah! Ve lo ripeto non era un liberale, ma solo un conservatore. Tutto qui. PS Viva il sionismo!!

Anonimo - 01/05/2024 03:41

Nel 2019 sono state le attiviste del movimento Non una di meno, nel 2020 i ragazzi dei collettivi studenteschi: un anno una colata di vernice rosa (gli donava), l’anno dopo rossa. Non sembra amatissimo, l’Indro Montanelli in bronzo lucido e marmo nero che accoglie chi da piazza Cavour entra al parco di Porta Venezia (un tempo Giardini pubblici, ora Giardini Montanelli). Dunque non è solo in relazione agli avvenimenti di questi giorni in tutto il mondo, giorni in cui si tirano giù le statue di razzisti e schiavisti sull’onda delle proteste nate dall’uccisione di George Floyd e conseguente rivolta, che Montanelli viene verniciato a spruzzo: chi ha parlato di emulazione e addirittura di moda si sbaglia, a meno che non si voglia ammettere che la “moda” sia partita da qui.

Niente 8 marzo, quest’anno, causa covid-19, ma nei cartelli delle donne posti accanto alla statua rosa e bronzo, l’anno scorso, c’era già tutto: “Montanelli colonialista fascista e stupratore”. Quanto alla targa con dedica all’ingresso, finiva oscurata da un’altra intitolazione: “Giardini Destà dodicenne fatta schiava da I. Montanelli in Etiopia nel 1936”. O ancora: “Giardini transfemministi Destà”. Destà, la vittima. La sposa bambina acquistata con un contratto di compravendita dall’ufficiale Montanelli.

A voler ripercorrere l’escalation della verniciatura montanelliana, si cade in un gorgo melmoso. A una gentile richiesta di rimuovere la statua di Montanelli da parte di un’associazione milanese (i Sentinelli), il sindaco Sala dice no. Si accalcano commentatori sui mezzi di informazione mainstream e parte e cresce il coro allarmato: le statue non si toccano, il passato va contestualizzato. Al netto di quelli che “allora abbattiamo il Colosseo perché i romani avevano gli schiavi” e altre amenità da social network, la polemica prende strane imprevedibili direzioni. Chi attacca la statua ricorda le gesta coloniali di Montanelli con un certo comprensibile raccapriccio. Chi la difende si appella alle imperiture assoluzioni della storia: i tempi erano quelli, le usanze, le tradizioni abissine, le gioie dell’impero. In gran parte gli stessi che esultavano all’abbattimento di altre statue (Saddam Hussein, per dirne una) o che non sprecano corsivi indignati per altri vandalismi.

Indignati speciali
Colpisce che la schiera degli indignati speciali per qualche latta di vernice sia composta da maschi, bianchi, sopra i cinquanta, in posizioni di potere. Tutti giornalisti. C’è da chiedersi: come mai? È solidarietà di categoria (giù le mani dal grande collega)? O la lettura è storica? O politica? Tutto si intreccia. Ma come mai c’è una statua, a Milano, dedicata a un personaggio così controverso? Perché si è sentito il bisogno di un omaggio di tipo ottocentesco, quando busti e statue non usano praticamente più?

Sarà dedicata al Montanelli il grande storico? Poco credibile, perché la sua Storia d’Italia scritta a sei mani con Roberto Gervaso e Mario Cervi è un bignami in 22 volumi sul quale nessuno storico baserebbe un’analisi seria.

Sarà dedicata al giornalista che “scriveva bene”? Questo sarebbe da discutere, perché non risulta che in Italia si siano costruite statue per persone che – pur con qualche scheletro nell’armadio – “scrivono bene”. Che motivazione sarebbe? Ognuno potrebbe esercitarsi sui suoi autori preferiti e per Milano, anche senza scheletri nell’armadio, la lista sarebbe già lunga.

Se invece il tributo della città è stato al giornalista vittima di terrorismo (la statua sorge dove Montanelli fu gambizzato dalle Brigate Rosse nel 1977), va detto che forse, in città, andava prima dedicata una statua a Walter Tobagi.

Quello di Montanelli è uno stile burbero, provocatorio, pesante e volgare

Ma torniamo al mito del Montanelli che “scrive bene”. Prendiamo a modello l’articolo che scrisse (nel 2000, non nel 1935) sulle colonne del Corriere della Sera per raccontare quel lontano episodio della sua vita coloniale. Parole come “faticai a superare il suo odore” (del “docile animalino”, come Montanelli definì la ragazza in un’intervista televisiva del 1982). Oppure: “Non era un contratto di matrimonio, ma – come oggi si direbbe – una specie di leasing, cioè di uso a termine”. E quando il malcapitato ventiseienne ufficiale dell’impero si accorse che la ragazza era infibulata, descrive in parole povere (davvero povere) come “ci volle per demolirla il brutale intervento della madre”.

In quelle righe trovano spazio parole di ravvedimento? Di affetto per la povera bambina schiavizzata? Pietà, partecipazione? Niente, solo comprensione per se stesso, con il paternalismo finale quando scopre (anni dopo) che la ragazza ha avuto un figlio e l’ha chiamato Indro. In due parole (in tre colonne di Corriere della Sera datate 12 febbraio 2000), una riproposizione cruda e orgogliosa del buon italiano alle colonie, un misto di buon padre, di padrone umano, di invasore gentile (della serie: “Abbiamo costruito le strade”). A voler sottilizzare si tratta di uno stile burbero, provocatorio, pesante e volgare, una specie di Sgarbi giornalistico prima della tv, un D’Annunzio fuori tempo massimo, un giornalista che a noi, da giovani, quando ne sentivamo parlare, sembrava un esponente del genere trash-in-divisa, teorico dell’ordine per generali in pensione, anche un po’ favorevole al golpe, se si potesse, signora mia (vedi le lettere all’ambasciatrice americana Clare Boothe Luce), eccetera eccetera.

Il contesto
“Bisogna contestualizzare la storia,” è il refrain dei montanellisti di oggi. E sì, la storia è che un’aggressione fascista ai popoli africani portò con sé massacri, armi chimiche, stupri, violenze e anche quello sciovinismo colonialista che permetteva all’ufficiale Montanelli di comprare (insieme a un cavallo e a un fucile, per 350 lire) il “docile animalino”. Insomma, faccetta nera, carne fresca per i conquistatori. Beh, è la storia, si dice. Esatto. È proprio quella storia, perché in Italia, anche nell’Italia del 1935, fascista e imperiale, se toccavi una bambina di dodici anni andavi in galera, mentre in terra di conquista era lecito e accettato. Basterebbe questo a contestualizzare: il mito degli “italiani brava gente” dev’essere parecchio resistente se anche 85 anni dopo resiste la leggenda del “si usava così”.

Dov’eravamo nel 2006 quando il sindaco Albertini deponeva in un giardino pubblico il grottesco manufatto funerario? Eravamo distratti dalla lotta senza quartiere tra Silvio Berlusconi e il resto del mondo? Era troppo vicina la morte di Montanelli e non esisteva quindi una giusta distanza storica? La sua riabilitazione come “nemico dei poteri forti” gli aveva creato un’aura tale da oscurare le sue malefatte in orbace mai rinnegate, anzi ri-raccontate senza nessuna rielaborazione dettata dalla maturità? Eppure proprio quei poteri forti chiedevano a gran voce la statua e plaudivano al taglio del nastro.

Parliamo dunque di oggi. Montanelli non aveva né ha mai avuto particolari meriti per avere un simile monumento, anzi. La sua manifesta misoginia (si pensi alle “bastonature” alle giornaliste Tina Merlin e Camilla Cederna), il suo mai avvenuto pentimento per quel passato, anzi il suo rivendicarne il virile e coloniale nucleo ideologico, ne fanno, se non un mostro, almeno uno a cui non tributare un monumento.

Ed è pienamente condivisibile la sensibilità delle nuove generazioni (le ragazze con la vernice rosa, i ragazzi con quella rossa) che tornano a parlare dei crimini coloniali italiani, dei corpi delle donne come bottini di guerra, della violenza contro popolazioni inermi di ieri: insieme al razzismo che ne discende, e ai colpi di coda del patriarcato, sono problemi ancora tutti sul tavolo oggi.

https://www.internazionale.it/opinione/silvia-ballestra/2020/06/16/statua-montanelli

Gina - 30/04/2024 19:47

Antisemitismo UN CAZZO. Anti-SIONISMO, please.
Cominciate a chiamare le cose con il loro nome, come faceva Montanelli.
Anche se, a dire il vero, ci metteva un po' per riconoscerle.
Fu mussoliniano, e berlusconiano, poi "riconobbe", e glie ne diamo atto.
E come dimenticare, a livello personale, la romantica vicenda coloniale... ah quelle esotiche spose bambine... utili per tante cose, benché negre... e hanno un afrore che ti fa impazzire...
"L'avevo comprata dal padre a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire. Era un animaletto docile, io gli misi su un tucul" (per Tucul si intende una capanna a pianta circolare, lo preciso per chi fosse troppo "nostalgico" dell'Africa Orientale Italiana e pensasse ad altre imprese).
Ma per questo romantico episodio della virile esperienza civilizzatrice italica in Africa, Montanelli si è beccato autorevoli endorsement da illustrissime personalità politiche...
"Il segretario della Lega Matteo Salvini protestò: “Giù le mani dal grande Indro Montanelli! Che vergogna la sinistra, viva la libertà”.
Poi Montanelli si accorse che Silvio era un pattume, e gli endorsement evaporarono... So goes life.
Io non ho niente contro Montanelli, anzi, uno di destra che dice quanto fa schifo Silvio ha tutto il mio rispetto. Così ho cercato articoli che chiarissero la vicenda Destà esponendo anche le ragioni di Indro... ne ho trovati alcuni, tipo questo, e dico la verità, mi fa vomitare uguale...

https://www.bufale.net/precisazioni-indro-montanelli-e-lacquisto-di-una-moglie-12enne-in-abissinia-era-un-bel-animalino/

JD - 30/04/2024 14:08


LUIGI MASTRODONATO
15.06.2020
Le accuse a Montanelli vanno oltre la sua fama da “grande penna”
Ieri maestro di giornalismo, oggi campione di malvagità da colorare. Ma le colpe del "grande Indro" sono gravi e documentate (e forse è una fortuna per lui non essere qui a darne conto)



Sulla statua di Indro Montanelli a Milano si stanno dicendo tante cose. Il dibattito, perlopiù, è tra chi considera il giornalista un pilastro della storia culturale italiana contemporanea e ritiene che dunque, nonostante i suoi errori, non ci si possa opporre alla celebrazione di un professionista. E chi, pur riconoscendo il professionista Montanelli, sottolinea come il cosiddetto “errore”– comprare una bambina abissina di 12 anni, sposarla e averci rapporti sessuali – fosse troppo anche negli anni '30, e che dunque oggi è giusto che la memoria del grande Montanelli rimanga in tutta la sua grandezza, ma senza statua.

Ecco, entrambe queste versioni della polemica sono sbagliate. Perché se il matrimonio con la bambina – che non dobbiamo aver paura di bollare come pratica di razzismo e stupro – è già di per sé una macchia indelebile nella vita del giornalista, ci sono molti altri aspetti che hanno caratterizzato la sua carriera in quegli anni e nei decenni successivi che invece che redimere quell’errore non fanno altro che amplificarlo e dargli uno sfondo. E che dunque riscrivono totalmente la storia mainstream della sua figura.

“Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve”, scriveva il giornalista nel 1936.Era ancora il Montanelli fascista, attratto da Benito Mussolini e vicino al regime, da cui poi si allontanò fisicamente ma le cui idee, il cui seme, rimasero in qualche modo nella sua testa per il resto della vita. Perché solo così si possono spiegare suoi contributi arrivati a distanza di anni da quell’esperienza giovanile, scritti originali o ritorni su quella fase della vita, senza che mai venissero prese le distanze dalle azioni commesse.

Era il 2000, per esempio, quando in un articolo raccontava del “leasing” con cui aveva comprato settant'anni prima la dodicenne abissina, bollando come “imbecilli” coloro che non riconoscevano come in quella parte di mondo a 12 anni si era già donne e a 20 già vecchie. Negli 1995 invece, nel corso di una polemica con il direttore di fede ebraica del Tg2 Clemente J. Mimun su una copertina del suo quotidiano La Voce che ironizzava sul nazifascismo, Montanelli scrisse un editoriale in cui si chiedeva in che modo gli ebrei entrassero in quel discorso, in quanto nemmeno Hitler aveva mai potuto negare che anch’essi fanno parte della “razza bianca”. Un delirio confusionario che se da una parte sembrava quasi assolvere in qualche modo il dittatore tedesco dalla sua crociata anti-ebraica, dall’altra cadeva in quel solito errore di stampo nostalgico del parlare di razze.

VIDEO

Twin, l'esoscheletro che permette alle persone paraplegiche di camminare


Negli anni '60 invece il giornalista, commentando le rivolte per l’iscrizione di un afroamericano all’università di Oxford, scrisse che per quanto la sollevazione segregazionista fosse un errore, “tuttavia questo errore e questo sopruso sono stati un eccesso di difesa ispirato da una preoccupazione che purtroppo è legittima: quella della salvaguardia biologica della razza bianca”. Sempre in quegli anni, peraltro, Montanelli rilasciava un’intervista a Le Figaro Littéraire in cui diceva: “Ah! La Sicilia! Voi avete l'Algeria, noi abbiamo la Sicilia. Ma voi non siete obbligati a dire agli algerini che sono francesi. Noi, circostanza aggravante, siamo obbligati ad accordare ai siciliani la qualità di italiani". Molte edicole dell’isola esposero cartelli in cui annunciavano che non avrebbero più venduto giornali contenenti suoi articoli, rendendo di fatto Indro Montanelli un precursore di Vittorio Feltri più che il simbolo del grande giornalismo italiano.

Sono solo alcuni episodi, sparsi nel tempo, della figura e del pensiero del **grande Indro Montanelli. Testimonianze che rendono il matrimonio colonialista con una dodicenne solo una tessera di un puzzle ben più ampio, dove al passare dei decenni continuavano a emergere tracce di razzismo, suprematismo, antimeridionalismo. Tracce del Montanelli fascista, insomma. L’interrogativo più esatto è allora quello con cui Mimun aveva terminato il suo sfogo nel 1995: Montanelli è ancora fascista? Un dubbio che, a rileggere la sua letteratura oggi, appare legittimo. Anche per le ombre che ci sono sulle parti più esaltate del personaggio, come quella militanza antifascista dopo la rottura con il regime che a posteriori sembrò essere più un elemento di facciata e su cui il giornalista non accettò mai di fare chiarezza.

Tutto questo può definirsi un simbolo di libertà, un esempio per l’Italia, una figura da idolatrare con un simbolo come una statua? La risposta è no, e lo è ancora di più oggi, nelle settimane in cui finalmente la sollevazione antirazzista partita dagli Stati Uniti con la morte di George Floyd ha assunto un carattere globale. La statua di Montanelli, già ingombrante in una città a cui piace raccontarsi come paladina dei diritti civili e che peraltro ha fatto erigere quella statua solo una manciata di anni fa, diventa ancora più ingombrante oggi. Se la statua vuole raccontarci il lato eccezionale del giornalista Montanelli e farne un’icona, la sua imbrattatura fa parte dello stesso processo di analisi del personaggio, un’analisi critica volta a svelarne i lati oscuri. La statua sporcata di rosso che abbiamo visto nelle scorse ore è allora forse il miglior modo di consegnare alla memoria la figura di Indro Montanelli: una persona che ha fatto la storia culturale dell’Italia del Novecento, ma una persona con tante macchie indelebili.



Tratto da Wired 2020

Riccardino - 30/04/2024 00:03

Ma non era un liberale. Montanelli era un moderato di destra conservatrice. Un conservatore, ma non un liberale.

anonimo - 29/04/2024 00:12

Complimenti per il lungo e documentato contributo, che ho letto con piacere. Di mio posso aggiungere che non ho mai provato particolare interesse per la figura di Montanelli. Posso aggiungere soltanto un mio ricordo di ragazzina. All'epoca, ricordo, Montanelli era veneratissimo a casa mia. I suoi articoli erano attesi, letti con avidità e commentati. Io li trovavo, pur giovane come ero, insipidi, banali, infarciti di luoghi comuni e di gratuite volgarità. Non ero in grado di giudicare nel dettaglio, ma mi infastidiva, istintivamente,che il pensiero di Montanelli fosse perfettamente consonante con quello del mio babbo fascista e del nonno rimbambito. Ricordo del mio ottimo professore di storia, che cominciava ad educarci ad un pensiero critico e libero, che ci instillava il gusto per la verifica delle fonti, e mi stupiva tantissimo il fatto che un cosiddetto "intellettuale" potesse scrivere, vendendo milioni di copie, cose così stupide e superficiali come la Storia d'Italia. Mi stupivo che una cosiddetta "grande firma" del giornalismo potesse pubblicare un mix di fandonie, banalità e volgarità su importanti quotidiani nazionali. Mi stupivo del fatto che Montanelli avesse sempre un nemico, e che questo nemico era sempre il soggetto più debole, più impossibilitato a difendersi. Ma ero ancora giovane, poi piano piano ho capito come funziona il giornalismo italiano, ho capito quanto basso fosse livello culturale della nostra nazione, ho capito come è facile manipolare l'opinione pubblica e come sia importante creare il mito dei "grandi giornalisti" dei "grandi intellettuali" per un ceto politico reazionario e incolto (non di destra, ma gretto e reazionario) del tutto privo di qualsiasi punto di riferimento che non fossero i propri immediati interessi.

anonimo - 28/04/2024 23:47

Numerose ricerche storiche pubblicate negli ultimi venti anni hanno dimostrato che Montanelli aveva una tendenza patologica alla menzogna. Da quanto è stato finora appurato, Montanelli avrebbe mentito quando disse che conobbe e intervistò più volte il maresciallo Mannerheim, e le sue corrispondenza "dal fronte" finlandese sarebbero state scritte comodamente da una camera d'albergo; avrebbe mentito anche circa l'incontro con Francisco Franco, e così pure a proposito dell'intervista a Hitler. Secondo le ricerche, mentì quando affermò che era stato condannato a morte dai tedeschi e che si era salvato in maniera rocambolesca, e mentì quando sostenne di essere stato a piazzale Loreto quando Mussolini e Petacci furono ivi appesi e vilipesi. Da quanto disse in tribunale, su Pinelli avrebbe in parte inventato, in parte "frainteso" e in parte espresso una "propria opinione". Questi sono solo alcuni esempi; l'elenco potrebbe continuare (alcune fonti storiche e giornalistiche sono citate in chiusa). In generale, pressoché tutti gli articoli di Montanelli che non siano pezzi d'opinione o commenti di polemica sembrano ricchi di dettagli sospetti.

Montanelli diceva a volte menzogne pazzesche e impossibili, che sconfinavano nel patologico. In diversi casi, si trattava di menzogne gratuite, nel senso che il tornaconto economico a mentire non era ovvio (e questo è appunto un indicatore della menzogna patologica). Ad esempio, nel 1942 Montanelli affermò di aver visto Hitler. Con i decenni, l'aneddoto crebbe e venne rielaborato, e si passò all'idea che Hitler lo avesse avvicinato e gli avesse parlato; più tardi (quando Montanelli era molto affermato e non avrebbe avuto più bisogno di mentire), la cosa degenerò in una storia da romanzo: nel 1939, presso il Corridoio di Danzica, Montanelli era andato a fare un bisogno fra i cespugli; un soldato tedesco lo fermò e lo voleva fucilare, ma arrivò Hitler che lo salvò e gli concesse un'intervista. Di questa strana storia esistono versioni diverse e contrastanti. Nella versione che Montanelli raccontò a Massimo Fini nel 1999, c'è anche una poco verisimile spiegazione del perché la mitica intervista a Hitler non è mai stata data alle stampe. Che io sappia, la cosa non è riportata da nessuna fonte anglosassone. Qualcuno e anche la pagina di Wikipedia dedicata a Montanelli afferma che Speer avrebbe confermato l'incontro, ma questa presunta conferma si trova citata solo da fonti italiane.

Mi sono soffermato sull'aneddoto di Hitler (ma ne avrei potuti citare tanti altri) perché dà proprio tutta la misura della capacità di invenzione fantastica di Montanelli. Il mio punto è che tutto ciò che noi sappiamo circa la bambina africana viene da un'unica fonte, Montanelli stesso, ed egli era, per prova conclamata e ripetuta, un bugiardo seriale (uso l'espressione in senso medico-clinico). La ricchezza delle invenzioni, il loro carattere fantasioso, la tendenza a rielaborazioni e modifiche successive che caratterizzano tante delle incredibili vidende di cui Montanelli sarebbe stato protagonista sembrano caratterizzare anche la vicenda della bambina, sicché viene da chiedersi cosa di oggettivo sappiamo del caso. Poco o nulla, io direi. La bambina sarebbe stata "la più bella" fra quelle che c'erano, e Montanelli l'avrebbe comprata dal padre per 500 lire, assieme a un cavallo e a un fucile: già questi aneddoti di colore potrebbero, magari, esser veri, ma evocano il romanzo di quart'ordine. Ogni 15 giorni, assieme alle mogli degli ascari, ella raggiungeva Montanelli "dovunque fosse" portandogli i panni lavati; aveva 12 anni, ma più tardi Montanelli la fece diventare quattordicenne; si chiamava Fatima, o forse Destà; fu rivenduta come schiava sessuale al generale Alessandro Pirzio Biroli, che aveva un "piccolo harem". Però, in una versione successiva che Montanelli dette, c'è un lieto fine. Montanelli tornò in Etiopia nel 1952, ritrovò la bambina, ora donna, che lo accolse "come un padre". Ella era sposata con tre figli, il primo dei quali chiamato Indro: e vissero tutti felici e contenti, verrebbe da dire.

L'unico nome in questa storia è quello del generale Alessandro Pirzio Biroli. Montanelli lo descrive come: "bravissimo, buon soldato" e "coraggiosissimo". Si tratta in realtà di un criminale di guerra, morto nel 1962 e quindi impossibilitato a confermare o a smentire. Sappiamo per certo che Montanelli all'epoca era razzista e contrario alla fraternizzazione con i neri, il che non depone a favore della veridicità della storia della bambina. Nell'intervista a Biagi, Montanelli indica la foto di una bambina nera, verisimilente risalente al periodo coloniale: ma potrebbe essere chiunque, e non sappiamo se esistano foto che li rappresentano insieme. Se esistono, sarebbe utile che venissero prodotte, insieme ad altra documentazione che provi la storia: l'harem del generale, il viaggio in Etiopia del 1952, il figlio di nome Indro.

La mia opinione è che prima di dividerci tra fautori del politicamente corretto, da una parte, e della contestualizzazione storica, dall'altra, bisognerebbe accertare se la bambina africana comprata da Montanelli sia mai esistita, e quali sono i contorni della vicenda. Non si può escludere, e mi sembra anzi possibile, che si tratti di una storia messa in circolo da Montanelli stesso per darsi un tono virile (secondo un qualche concetto discutibile di virilità), pittoresco e avventuroso. Interrogato nel 1969 (e poi nel 1982 e ancora nel 2001) su questa storia che circolava, egli non poteva ammettere di avere inventato, come fu costretto a fare nel caso Pinelli, quando si trovò in tribunale. Nell'intervista del 1969, raccontò la cosa con tono piuttosto divertito, ma già allora e in misura crescente con gli anni si rese conto che quell'aneddoto da soldato era sgradevole, e cominciò a rimaneggiarlo. Si tratterebbe, insomma, di una delle sue solite invenzioini, ma che questa volta non aveva ben ponderato e che gli si è ritorta contro. La sposa-bambina potrebbe non esistere, oppure potrebbe essere una rielaborazione di diverse figure femminili che Montanelli incontrò in Africa. Non possiamo escludere che abbia veramente stuprato una dodicenne, ma, tenuto conto della sua tendenza a inventare, la cosa andrebbe verificata, non assunta come fatto sulla sola base delle parole di Montanelli.
Da quanto detto, dovrebbe essere chiaro che il caso di Montanelli non può essere accostato a quelli di Cristoforo Colombo, Churchill e Gandhi, visto che i dati essenziali della vicenda che gli viene contestata sono nebulosi. Difenderlo dicendo che è stato "un grande del Novecento", riciclando magari la sua mitologia sapientemente costruita sulla condanna a morte e sulle grandi corrispondenze, non ha senso; attaccarlo per lo stupro, parimenti, non ha senso, visto che non sappiamo nemmeno se la bammbina sia esistita. Questo è il tipico modo italiano di impostare i dibattiti su base non fattuale. La cosa più ragionevole, invece, sarebbe che gli storici investigassero la vicenda per farvi un po' di luce, se pure è ormai possibile e tenuto conto dei limiti della documentazione. Una volta ottenuti dati attendibili, si potrà variamente riprendere la discussione che divide i fautori del politicamente corretto da quelli della contestualizzazione storica.

Due considerazioni sono comunque già possibili.
1) Perché un personaggio simile è considerato un gigante del giornalismo? Certamente, fu un liberal-conservatore, anticomunista in un'epoca in cui il comunismo dilagava, spesso politicamente lucido a differenza di altri. Ebbe idee anche apprezzabili, insomma, ma la spregiudicatezza nel mentire e la totale mancanza di professionalità rendono difficile trattarlo come un "grande". Che paese è quello in cui nessuno o quasi conosce Luigi Albertini, Mario Pannunzio e Matilde Serao, e si pensa che Montanelli sia un "grande del Novecento"? Come mai le ricerche storiche degli ultimi decenni non hanno avuto maggiore eco e circolazione pubblica? Non so se Montanelli fu uno stupratore, ma certamente fu un'abile penna capace di inventare storie con doti di affabulatore, ma violando spesso le regole dell'etica professionale giornalistica. La sua statua, per quanto mi riguarda, non andava messa e andrebbe tolta, a prescindere dallo stupro, perché rappresenta la tipica tendeza culturale italiana a mitizzare furbi e bugiardi.

2) Diversi colleghi di Montanelli sembrano essere (o, nel caso dei defunti, esser stati) consapevoli del fatto che era un mentitore: da Giampaolo Pansa, che accennò alla cosa, a Massimo Fini, a Gad Lerner, che pure in passato aveva fatto qualche breve cenno alla tendenza di Montanelli a inventare. Lo stesso Lerner doveva forse avere in mente proprio questo quando ha detto, qualche giorno fa, che Montanelli è stato fatto oggetto di una "venerazione sproporzionata alla sua biografia" (scelta di parole che forse allude alle menzogne di Montanelli, senza però avere l'onestà di parlar chiaro). Molti fra coloro che sono a conoscenza di questa tendenza alla menzogna la derubricano quale buffa curiosità, una specie di piccola mania, ma che nulla toglie alla grandezza del personaggio (è anche l'atteggiamento bonario e pessimo di Massimo Fini). In nessun paese anglosassone un giornalista che inventi storie a questi livelli sarebbe trattato con bonomia: si veda la vicenda di Stephen Glass, oggetto anche di una riduzione cinematografica. Né si può qui invocare la contestualizzazione storica che varrebbe per lo stupro, salvo voler dire che negli anni 1930-2000 fosse considerata prassi professionale lecita inventare interviste immaginarie, reportage "dal fronte" immaginari, e così via. Opera, qui, una sorta di omertà professionale simile a quella che c'è fra accademici, fra medici, e che porta i giornalisti a un estremo riserbo nel denunciare le condotte scorrette dei loro colleghi? Del resto, come spiegare altrimenti che un'altra "grande" firma del Corriere, ben più attuale di Montanelli, sia stata accusata, lungo molti anni, di plagio, e che nessun collega abbia mai detto nulla a riguardo, né tantomeno agito per censurare tale condotta?
Concludendo, finché nuove ricerche non faranno luce sulla videnda, non possiamo esser certi che Montanelli abbia avuto rapporti sessuali con una bambina di 12 anni; ma ciò che gli storici hanno finora rivelato circa la sua figura è già più che sufficiente per toglierlo dal Pantheon dei grandi.

Alcune fonti:
Renata Broggini sul periodo speso da Montanelli in Svizzera: https://www.lafeltrinelli.it/libri/renata-broggini/passaggio-svizzera/9788807490545

Una recensione e sintesi del libro di Broggini originariamente pubblicata da "l'Espresso": http://forum.laudellulivo.org/index.php?topic=781.0;wap2

Una replica a Broggini e difesa di Montanelli da parte di Mario Cervi: https://www.ilgiornale.it/news/indro-mentiva-meno-chi-dubita-lui.html

Il disarmante racconto della mitomania di Montanelli da parte di Massimo Fini, che lo giustifica bonariamente: http://www.massimofini.it/index.php?option=com_content&view=article&id=195:ne-ho-piene-le-scatole-del-libero-mercato&catid=32:1997&Itemid=63

Un'altra variante del racconto di come Montanelli avrebbe incontrato Hitler: https://www.quotidiano.net/editoriale/montanelli-intervista-hitler-1.4627432

Salvatore Merlo, Fummo giovani soltanto allora: La vita spericolata del giovane Montanelli, Milano, Mondadori. Il libro contiene, fra le altre cose, dettagli sulla evoluzione dell'aneddoto sull'incontro/intervista con Hitler.

Luigi de Anna sul Montanelli corrispondente dalla Finlandia: https://www.insegnadelveltro.it/montanelli-e-la-finlandia__trashed/

Il punto sulle fantasie del Montanelli finlandese (con qualche cenno anche al suo periodo spagnolo): http://www.linterferenza.info/contributi/indro-montanelli-fu-vera-gloria/

Sandro Gerbi e Raffaele Liucci, Lo stregone: La prima vita di Indro Montanelli https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/storia-contemporanea/lo-stregone-raffaele-liucci-9788806165789/

Il caso Pinelli in relazione a Montanelli: https://milano.fanpage.it/le-figlie-di-pinelli-montanelli-disse-menzogne-su-nostro-padre-poi-dovette-chiedere-scusa/

Il video dell'intervista a Montanelli (1969) in cui egli menziona divertito la bambina africana. L'intervista proseguiva con alcuni ulteriori scambi fra Elvira Banotti e Montanelli, che però non sono riportati: https://www.youtube.com/watch?v=PYgSwluzYxs

Il video della intervista (1982) di Enzo Biagi a Montanelli, in cui quest'ultimo menziona la bambina africana: https://www.youtube.com/watch?v=zV16E0MK9bA

La ricostruzione di Montanelli del 2001 sulla bambina africana. Si notino le discordanze rispetto alla versione precedente: http://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=260

Le dichiarazioni di Gad Lerner circa la "venerazione sproporzionata alla sua biografia": https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/06/14/statua-montanelli-imbrattata-gad-lerner-lui-sarebbe-piaciuta-piu-cosi_JnuH5O70WGaUBYjKir1iHJ.html

Zulù - 28/04/2024 13:46

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