Quando a Lucca inventarono il Sanremo dei «matti»

CORRIERE FIORENTINO Quando a Lucca inventarono il Sanremo dei «matti» La storia del manicomio di Maggiano e del suo festival della canzone. Che divenne anche simbolo di battaglia civile «Non ho l’età, non ho l’età/ Per amarti, non ho l’età /Per uscire sola con te…». A Sanremo, festival del 1964, stravince una giovane veronese di 16 anni, Gigliola Cinquetti, che canta un amore casto mentre sugli schermi dominava quello passionale con il film Cleopatra, protagonisti Richard Burton e Elisabeth Taylor, Brigitte Bardot si mostrava nuda e Mina in tv inneggiava all’amore carnale. L’Italia va in delirio per Sanremo e a Lucca, nel manicomio di Maggiano, il più antico della penisola, reso famoso dallo scrittore Mario Tobino con il romanzo Le libere donne di Magliano, nasce un singolare festival, quello dei degenti dell’ospedale psichiatrico. Che copia Sanremo anche nella formula: una coppia di cantanti per ogni canzone. L’esperienza, unica in Italia, e forse nel mondo, viene raccontata in un libro, Leggera cura. Quando Maggiano cantava, scritto dallo psichiatra Enrico Marchi e dal giornalista Marco Amerigo Innocenti ed edito da Maria Pacini Fazzi. Tutto ha inizio quando a Maggiano, fine anni ’50, arriva dall’Aquila come direttore Domenico Gherarducci (in carica dal 1958 al 1984), fautore dell’arte-ludo-musicoteraia come «leggera cura» complementare all’uso di psicofarmaci. In psichiatria irrompono nuove idee che sfoceranno nel 1978 nella riforma Basaglia. È in questo contesto, spiegano Marchi e Innocenti, che nasce l’idea di un festival della canzone sull’esempio di Sanremo. Dove, in quegli anni, spopolano oltre alla Cinquetti, Bobby Solo, Domenico Modugno, Claudio Villa, Iva Zanicchi e Sergio Endrigo, mentre a Maggiano i protagonisti sono malati con la passione per le canzonette, come Mauro e Anna Maria di Lucca, Elsa e Manlio di Pistoia, Maria Pia e Luigi di Volterra. L’anima del festival dei malati di mente è Franco Perna, abile musicista. Perna comincia a selezionare cantanti, parolieri e musicisti tra i ricoverati. Mesi di prove e selezioni, ore di lezioni per far migliorare le esecuzioni e nell’estate del 1964 si arriva al primo Festival che coinvolge tutto l’ospedale. Per settimane lavorano tutti i degenti con i loro infermieri per montare il palco e sistemare le sedie per il pubblico che poteva venire anche dall’esterno nell’ospedale psichiatrico. Si arrivò, racconta Innocenti mostrando i titoli dei giornali dell’epoca, fino a 3mila persone, accolte nei grandi spazi all’aperto di Maggiano. Racconta Innocenti: «Il festival riscosse un successo enorme. Se ne occupò la stampa nazionale e persino la Rai. Negli anni successivi arrivarono da quindici altri ospedali psichiatrici delegazioni di cantanti e musicisti che parteciparono al festival. Due serate, canzoni cantate da due diversi interpreti e in giuria ospiti illustri come Delia Scala. Maggiano come Sanremo diventò un punto di riferimento nell’Italia dei diritti e del ’68, che a Torino affrontò con il gruppo Abele di don Luigi Ciotti il problema dei tossicodipendenti da curare, non da punire, e a Trieste con Franco Basaglia aprì le porte della città ai matti da slegare. «E a Maggiano Gherarducci creò quello che chiamò “ospedale paese”, togliendo reti e limitando al minimo ogni forma di contenzione e clausura. I malati potevano girare liberi e anche uscire per passeggiare lungo la strada che portava ai paesi vicini. Soprattutto vennero avviate attività che li tenevano occupati e non senza fare nulla a intere giornate», raccontano i due autori di La leggera cura. Vennero costituiti laboratori artigianali, uno spaccio bar-centro sociale per gli ammalati, e anche una sorta di piccola banca interna per gestire i pochissimi soldi dei ricoverati. Si pubblicava in ciclostile anche una rivista scritta da ricoverati e personale, La Pantera, che trattava della vita dell’ospedale psichiatrico e di temi generali. Le canzoni erano tutte scritte, musicate e cantate da ricoverati, ciascuno dei quali al momento dell’esecuzione si atteggiava al suo idolo, di cui dentro Maggiano prendeva inesorabilmente l’appellativo. C’erano così Rita (Pavone), Bobby (Solo), Joe (Sentieri), Iva (Zanicchi) e via dicendo. Il testo della canzone vincitrice del 1965, Un’estate lontana dice: «Ricordo ancora di un’estate/ quell’estate felice/ che passasti con me./ Era d’estate quando tu mi baciavi/ quando tu mi giuravi/ resterò…». Parla di una ragazza illusa durante l’estate che l’anno successivo attende invano il ritorno del suo amore: «Il tuo amore ho perduto/ ma il mio cuor pensa a te/ e al ricordo/ che mai più tornerà». Il festival canoro di Maggiano durò solo sei anni, chiuse infatti i battenti nel 1969. Molte le storie struggenti. Come quella di Antonia, ripudiata alla nascita dalla madre prostituta che, per seguire i testi delle canzoni, impara a leggere. La sua canzone preferita, lei che era stata rifiutata da tutti, a cominciare dalla mamma, è E penso a te (Io lavoro e penso a te / Torno a casa e penso a te/ Le telefono e intanto penso a te) di Lucio Battisti. Antonio, poi, di Giacomo Puccini arriva persino a impersonare a teatro il ruolo di Manon Lescaut. Altra storia, quella di Girolamo. Una storia di emarginazione familiare, in casa viene recluso in una soffitta, poi rinchiuso a Maggiano per la sua aggressività soprattutto nei confronti delle donne, traumatizzato dall’infelice rapporto con la matrigna. Anche a Girolamo gradualmente la musica cambia la vita. Entra nel gruppo «Altra musica» di Maggiano. E un giorno, a Tassignano, nel comune di Capannori, si tiene un concerto in cui Girolamo a sorpresa si mette a suonare al piano una canzone, Homburg dei Procol Harum, adattata in italiano dai Camaleonti in L’ora dell’amore: «Da troppo tempo questa stanza ha le persiane chiuse. Non entra luce qui dentro, il sole è uno straniero…». Le persiane nella vita di Girolamo si sono aperte al sole, almeno quel giorno. Il pubblico applaude e si commuove. Girolamo si inchina e lancia baci.
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