Salute mentale e sicurezza: l’allarme che ritorna senza mai cambiare nulla
L’ennesima tragedia familiare riporta al centro un dibattito che ciclicamente si accende e subito si spegne: salute mentale, prevenzione, ordine pubblico. Un uomo con storia psichiatrica che uccide moglie e figli diventa il nuovo caso simbolo, ma la discussione prende sempre la stessa piega: richiami a leggi più dure, nostalgie di manicomi, proclami di riforme mai realizzate.
La chiusura dei manicomi con la legge Basaglia nel 1978 è stata una conquista di civiltà, ma da allora poco è stato costruito per sostituire davvero quel sistema. Al loro posto sono nate le REMS per gli autori di reato con disturbi psichiatrici, e i Dipartimenti di salute mentale nei territori. Strutture che, però, restano poche, disomogenee e cronicamente sottofinanziate. Alcune regioni ne sono prive, altre hanno carenze di personale e lunghe liste d’attesa.
Nel frattempo le famiglie reggono da sole il peso. Non solo nei casi estremi di cronaca, ma ogni giorno: genitori, partner, fratelli diventano caregiver invisibili, costretti a gestire crisi, farmaci, isolamento sociale, spesso senza sostegno né strumenti. Quando la malattia non esplode in sangue, rimane nell’ombra.
Il sistema sanitario risponde quasi solo all’emergenza. Il pronto soccorso o il TSO diventano l’unico ingresso, mentre mancano percorsi continui di presa in carico, sostegno psicologico e sollievo per chi assiste. I giovani, in particolare, mostrano tassi crescenti di ansia, depressione, dipendenze, ma le strutture per loro sono ancora più fragili.
Dopo ogni omicidio o atto di violenza compiuto da una persona con diagnosi psichiatrica, la cronaca si concentra sul tema dell’ordine pubblico. Si invocano pene più severe o “misure preventive” che separino i malati pericolosi dagli altri, dimenticando che la stragrande maggioranza non è affatto violenta. La malattia mentale viene ridotta a problema di sicurezza, e non di salute.
Così il copione si ripete: indignazione immediata, titoli allarmati, dichiarazioni politiche a caldo. Poi il silenzio, fino al prossimo fatto di sangue. Intanto i servizi restano sguarniti, gli operatori sempre meno, le famiglie sempre più sole.
A quasi cinquant’anni dalla legge Basaglia, la verità è amara: non c’è stata una vera alternativa costruita con continuità. Non bastano proclami o campagne del momento. Servono risorse stabili, personale formato, servizi territoriali forti, sostegno concreto alle famiglie e un linguaggio che smetta di confondere cura con controllo.
Senza questo, ogni nuova tragedia sarà solo l’ennesimo specchio infranto di un sistema che si limita a reagire, mai a prevenire.
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