La destra radicale e l’allergia alla critica

C’è un tratto comune che attraversa molte espressioni della destra radicale: la difficoltà ad accettare la critica. Non è un problema solo di idee politiche, ma di identità. La critica, per chi vive la politica come appartenenza tribale, non è un confronto: è un attacco. Non si risponde con argomenti, ma con etichette. Chi contesta non “pensa diversamente”, è “una zecca”, “un buonista”, “un comunista”. Il fine non è discutere, ma screditare. Questo atteggiamento nasce da un bisogno di compattezza interna. Le ideologie forti, soprattutto quelle che si presentano come difesa della “nazione”, del “popolo vero” o dei “valori tradizionali”, si alimentano di un “noi” contro “loro”. Ogni critica mina la purezza del gruppo, e quindi va neutralizzata subito. Meglio deridere chi protesta che chiedersi se, magari, abbia un punto. La destra radicale, in questo senso, somiglia a una religione civile: esige fede, non dialogo. La contraddizione è che pretende libertà di parola assoluta, ma la nega a chi non si allinea. Quando tocca agli altri manifestare, improvvisamente il diritto diventa fastidio. Il dissenso altrui non è “opinione”, è “disturbo”. Il risultato è un clima in cui la critica è scambiata per odio, e l’arroganza per forza. Ma una democrazia matura si misura proprio sulla capacità di sopportare la voce contraria. Chi non regge la critica, alla fine, non difende idee: difende solo sé stesso. Democrazia libera !...Speriamo per sempre..
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