Studio e riflessioni sulla contenzione nei reparti psichiatrici
Studio e riflessioni sulla contenzione nei reparti psichiatrici italiani
Premessa
Nella pratica quotidiana, soprattutto in psichiatria e nei reparti di emergenza, la contenzione fisica viene spesso utilizzata non per scelta clinica, ma per necessità.
Accade che persone con comportamenti violenti o altamente pericolosi — che in un sistema equilibrato dovrebbero essere gestite da forze dell’ordine o sottoposte a misure giudiziarie — finiscano invece in contesti sanitari. Il personale, privo di mezzi di difesa o di supporto immediato da parte della polizia, si trova a dover proteggere sé stesso e gli altri degenti.
È in questi frangenti che la contenzione diventa una difesa estrema, più che uno strumento terapeutico.
Da qui la necessità di una riflessione lucida: quando è lecita? Quando diventa abuso? E come si tutela chi opera in prima linea, spesso solo e senza protezioni reali?
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1. Definizione e natura della contenzione
Per “contenzione” si intendono tutti quei mezzi che limitano la libertà di movimento del paziente:
fisica o meccanica (cinture, fasce, spondine, ecc.);
farmacologica (sedazione forzata o eccessiva);
ambientale (reclusione, isolamento, ambienti chiusi).
È fondamentale ricordare che la contenzione non è un atto terapeutico, bensì una misura di sicurezza eccezionale. La sua funzione è prevenire un danno immediato, non curare.
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2. Il quadro normativo e giurisprudenziale
In Italia non esiste una legge specifica che disciplini in modo organico la contenzione.
Le norme di riferimento sono sparse e vanno lette con equilibrio:
Costituzione, articoli 13 e 32: la libertà personale è inviolabile, e ogni limitazione deve essere prevista dalla legge e motivata; la salute è un diritto, ma mai in contrasto con la dignità umana.
Codice Penale: articoli 40, 54, 605, 610, 572, 582 e 586 — rispettivamente posizione di garanzia, stato di necessità, sequestro di persona, violenza privata, maltrattamenti, lesioni e morte in conseguenza di altro reato.
Leggi 180 e 833 del 1978: che regolano i trattamenti sanitari obbligatori e i principi della salute mentale.
Giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): più volte hanno ribadito che la contenzione deve essere una misura eccezionale, temporanea e giustificata da pericolo attuale, concreto e inevitabile.
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 50497/2018), la contenzione non può mai essere preventiva né sostitutiva dell’organizzazione o della vigilanza.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani o degradanti, quando la contenzione è stata protratta o immotivata.
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3. Quando è legittima la contenzione
Tre criteri imprescindibili la rendono lecita:
1. Pericolo attuale e concreto
Deve esserci un rischio immediato per sé o per altri. Non bastano sospetti o timori.
2. Assenza di alternative efficaci
Prima di ricorrere alla contenzione, devono essere tentate tecniche di de-escalation, interventi farmacologici mirati, sorveglianza intensiva o isolamento temporaneo in ambiente sicuro.
3. Proporzionalità e temporaneità
La misura deve durare solo il tempo strettamente necessario e nel modo meno restrittivo possibile. Ogni minuto in più deve essere giustificato e documentato.
In caso di rischio immediato per l’incolumità, l’operatore può invocare lo stato di necessità (art. 54 c.p.), ma solo se la condotta è proporzionata e inevitabile.
Se queste condizioni mancano, la contenzione diventa atto illecito, con conseguenze penali e civili.
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4. Responsabilità e rischi legali
Quando la contenzione viene usata in modo improprio o prolungato, la responsabilità ricade sugli operatori e sulla struttura:
Sequestro di persona (art. 605 c.p.) se la limitazione della libertà è ingiustificata o non motivata.
Lesioni o morte (artt. 582 e 586 c.p.) se il paziente subisce danni fisici o muore durante la contenzione.
Maltrattamenti (art. 572 c.p.) se il trattamento appare umiliante o sistematicamente vessatorio.
Violenza privata (art. 610 c.p.), per imposizione indebita di un comportamento.
Responsabilità civile: risarcimento dei danni biologici, morali e relazionali.
Il caso Mastrogiovanni resta emblematico: la contenzione prolungata e non motivata è stata ritenuta una grave violazione dei diritti fondamentali e della dignità umana.
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5. Contenzione come sintomo del sistema
Il ricorso alla contenzione è spesso segno di un sistema in difficoltà più che di un paziente violento.
Le cause principali:
carenza di personale;
assenza di protocolli chiari;
formazione insufficiente su gestione delle crisi;
ricoveri impropri di soggetti penalmente pericolosi;
mancanza di supporto di sicurezza nelle ore critiche.
In molti casi, la contenzione diventa l’unico mezzo per garantire sopravvivenza fisica del personale e degli altri pazienti, ma resta un fallimento organizzativo e istituzionale.
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6. Principi etico-operativi del Neo Comitato
Il Neo Comitato Studio Sanitario propone una serie di linee di condotta concrete per ridurre l’uso della contenzione e tutelare insieme operatori e pazienti:
1. Protocolli ufficiali obbligatori
Ogni struttura deve adottare un regolamento scritto sulla contenzione, con criteri di applicazione, durata, autorizzazioni e modalità di controllo.
2. Gradualità degli interventi
Prima di contenere, occorre tentare ogni forma di intervento meno invasivo: dialogo, isolamento temporaneo, sostegno verbale, mediazione.
3. Documentazione rigorosa
Ogni atto di contenzione deve essere motivato, annotato e firmato. Devono essere indicati motivi, durata, responsabili e monitoraggi successivi.
4. Monitoraggio continuo del paziente
Durante la contenzione il paziente non va mai lasciato solo. Va controllato stato vitale, comfort, coscienza e condizioni psicologiche.
5. Riduzione immediata appena possibile
La contenzione va revocata al primo segnale di cessazione del pericolo.
6. Formazione del personale
Tutti gli operatori devono ricevere corsi periodici di prevenzione della violenza, gestione della crisi, tecniche di protezione fisica non coercitive e comunicazione empatica.
7. Presidio di sicurezza temporaneo
In situazioni di alta pericolosità, deve poter intervenire una figura di supporto esterno — polizia o vigilanza sanitaria — che permetta di limitare la contenzione ai soli casi inevitabili.
8. Supervisione e trasparenza
Ogni evento di contenzione deve essere rivisto periodicamente da un comitato etico interno e comunicato alle autorità sanitarie competenti.
9. Progettazione di ambienti sicuri
Spazi strutturati per prevenire violenze senza coercizione: materiali antiurto, arredamento protettivo, zone di osservazione visiva e acustica.
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7. Conclusione
La contenzione è una misura di emergenza, non una soluzione gestionale.
Usarla in modo improprio significa trasformare la cura in coercizione e il luogo di cura in una zona grigia dove i diritti si piegano alle necessità.
Ma ignorare il pericolo reale, e lasciare gli operatori senza strumenti di difesa, è altrettanto irresponsabile.
Serve equilibrio: garantire sicurezza senza perdere umanità, e proteggere chi cura senza tradire chi soffre.
Il Neo Comitato auspica che il legislatore, le istituzioni sanitarie e le forze dell’ordine riconoscano questo problema come questione di sicurezza pubblica, dignità umana e giustizia operativa.
Riflessioni a cura del Neo Comitato
Sanità e Sicurezza
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