Esketamina spray: grandi promesse, utilizzo reale molto più timido in Psichiatria
Quando l’esketamina spray è arrivata sulla scena, in ambito psichiatrico, l’attesa era palpabile. Per la prima volta dopo decenni si parlava di un farmaco antidepressivo con un meccanismo d’azione diverso dai soliti percorsi della serotonina e della noradrenalina. Un’azione rapida, ore o pochi giorni invece delle classiche settimane, e risultati incoraggianti nei pazienti con depressione resistente ai trattamenti. Per molti clinici e pazienti è sembrata una piccola rivoluzione, quasi una breccia in un muro che per anni era rimasto fermo.
Le aspettative erano alte perché rispondevano a un bisogno reale: cosa fare quando due, tre o più antidepressivi hanno fallito? L’esketamina prometteva di ridare speranza a chi vive da anni in una condizione di sofferenza cronica, con un rischio suicidario spesso difficile da gestire e con poche alternative efficaci. I primi studi e le esperienze iniziali hanno rafforzato questa sensazione, mostrando miglioramenti rapidi dell’umore e una riduzione significativa dei sintomi depressivi in una parte dei pazienti più complessi.
Eppure, a distanza di tempo, l’uso reale dell’esketamina è rimasto molto più limitato di quanto ci si aspettasse. Non è diventata quella risposta diffusa e “di routine” che qualcuno immaginava. Le ragioni sono diverse e si intrecciano tra loro. Da un lato c’è la complessità organizzativa: non è un farmaco che si prescrive e basta. Richiede ambienti controllati, personale formato, monitoraggio dopo la somministrazione, tempi dedicati. Tutti elementi che, nella pratica quotidiana dei servizi, pesano molto più di quanto sembri sulla carta.
C’è poi un aspetto culturale e clinico. L’esketamina porta con sé l’ombra della ketamina, con tutto il carico di diffidenza legato agli effetti dissociativi e al potenziale abuso. Anche se il profilo è diverso e l’uso è rigidamente controllato, una certa prudenza – a volte eccessiva – ha frenato molti professionisti. Non tutti si sentono a loro agio nel maneggiare un farmaco percepito come “atipico”, soprattutto in contesti già sotto pressione.
Non va dimenticato nemmeno il tema dei costi e dell’accesso. In molti sistemi sanitari l’esketamina è stata inserita con criteri restrittivi, riservata a pochi casi selezionati. Questo ha ridotto ulteriormente il numero di pazienti che possono davvero beneficiarne, trasformando una possibile risorsa importante in qualcosa di raro, quasi elitario.
Il risultato è un paradosso: un trattamento che ha acceso grandi speranze, supportato da evidenze interessanti, ma che nella vita reale resta sottoutilizzato. Non perché non funzioni, ma perché è difficile da integrare in un sistema che spesso fatica già a garantire l’ordinario. Forse il punto non è ridimensionare il valore dell’esketamina, ma capire come inserirla meglio, senza mitizzarla e senza demonizzarla.
In fondo, l’esketamina spray non è la bacchetta magica che qualcuno sognava, ma nemmeno una promessa mancata. È uno strumento potente, da usare con criterio, che chiede strutture adeguate, formazione e un cambio di mentalità. Finché questi elementi non saranno davvero presenti, resterà quella cosa di cui tutti parlano con grandi aspettative… ma che pochi, nella pratica quotidiana, riescono davvero a usare. Un po’ come certi regali sotto l’albero: bellissimi sulla carta, ma che finiscono spesso a prendere polvere.
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