Salari troppo bassi, un infermiere su cinque getta la spugna.

Anni di studio e stipendio base 1.500 euro Salari troppo bassi, un infermiere su cinque getta la spugna. Anni di studio e stipendio base 1.500 euro Il 25% abbandona il corso di laurea prima che il percorso universitario sia concluso. La Cisl: “Preferiscono persino fare un altro lavoro”  Un infermiere laureato su cinque rinuncia a presentarsi ai concorsi che lo porterebbero a un approdo sicuro a tempo indeterminato in una struttura pubblica. Se poi l’incarico è a tempo determinato la percentuale di chi getta la spugna sale al 30%. «Semplicemente, considerato come si sta negli ospedali in questi ultimi anni preferiscono fare un altro lavoro», racconta Alessandro Bertaina, Funzione pubblica Cisl. Eppure il posto è assicurato perché i concorsi che si bandiscono negli ultimi anni garantiscono lavoro per tutti: anche chi non si trova in testa alla graduatoria ed entra subito in corsia finisce in un listone dal quale possono attingere, su richiesta, anche le altre Asl che hanno bisogno di garantire gli organici. Tempi rapidi: mai come ora gli infermieri sono indispensabili per garantire la sopravvivenza della sanità pubblica. C’è un altro dato che inquieta: il 25% abbandona il corso di laurea prima che il percorso universitario sia concluso: «Non è soltanto una questione di eventuale difficoltà degli studi – dice Bertaina – gli abbandoni crescono quando si comincia a fare pratica e i giovani si rendono conto del livello di stress vissuto sul lavoro». Altri numeri sono spie del grado di disaffezione e disagio alla professione: il 45% dei laureati in scienze infermieristiche in servizio denuncia limitazioni psicofisiche che impediscono di svolgere tutte le attività richieste a un professionista sanitario con quel percorso di studi. Quindici anni fa la percentuale era il 15, massimo 20%. Si può aggiungere che dei 31.000 infermieri piemontesi (16.000 torinesi) il 75% sono donne, chiaramente le più penalizzate se i turni cambiano e se lo stress impedisce di mantenere una qualità della vita decente oltre il lavoro. «La situazione è arrivata a un punto in cui non è escluso ipotizzare che il sistema non tenga più – dice il sindacalista Cisl –, le aspettative di avere una vita esterna all’attività lavorativa naufragano di fronte alle condizioni reali, a turni che cambiano continuamente annullando qualsiasi possibilità di programmazione. In secondo luogo i professionisti sono sottoposti a rischi altissimi». Massimiliano Sciretti, presidente dell’Ordine degli infermieri, conferma le dimensioni del disagio attuale: «Ho colleghi che scelgono la libera professione e collaborano con Rsa, con i servizi di assistenza domiciliare integrata, con associazioni come la Faro, con il privato. Una giovane infermiera che ha terminato da poco il corso ha preferito andare a lavorare come assistente da un dentista: ha un orario fisso e uno stipendio in linea con quanto guadagnerebbe all’inizio della sua carriera in ospedale». Sempre più spesso, racconta Sciretti, un infermiere ha anche un dottorato post-laurea: «Non penso proprio si possa pagare un infermiere con dottorato 1.500 euro al mese». Negli ultimi tempi nei pronto soccorso e nei reparti sono arrivati anche gli infermieri gettonisti, una nuova declinazione professionale che finora era confinata ai medici. Considerate le carenze che si registrano ovunque, è prevedibile che i numeri crescano con i mesi. I rapidi cambiamenti accelerati dal Covid riguardano anche arrivi e partenze: gli italiani laureati continuano ad andare all’estero dove un infermiere è pagato molto meglio: «Il dato italiano dice che ogni anno escono 20.000 professionisti su un totale di 450.000 infermieri in servizio in Italia, il 5% – dice Sciretti –. I dati piemontesi non credo siano diversi». In parallelo, è calata pesantemente la percentuale di ingressi dai Paesi dell’Est. Sono invece aumentati i numeri degli infermieri che provengono dal Nord Africa e dalla Tunisia. «Se si vuole far crescere l’attrattività della professione - conclude il presidente del Collegio - bisogna pagare di più e fare in modo di sviluppare le competenze cliniche». Repubblica
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