La santificazione di Silvio

Comunque la si voglia vedere, per noi figli degli anni ‘80-‘90, cresciuti bombardati dalla tv berlusconiana, noi che abbiamo costruito una coscienza politica nel pieno della stagione berlusconiana, quella vera, quella del mantra del liberismo sfrenato, del “ciarpame”, delle barzellette e delle veline ma anche del sangue del G8 e delle ombre dei processi e della P2, ecco, per noi, soprattutto per noi, noi che lo abbiamo combattuto politicamente e soprattutto culturalmente in tutti i modi e con tutta la - forse troppo poca - forza di cui eravamo capaci, la morte di Berlusconi non può e non potrà mai essere una notizia come un’altra. È la fine di un’epoca, e arriva, come spesso accade, quando il tempo ha mitigato lo scontro ed edulcorato la memoria. Forse è giusto così, in fondo, la morte, qualunque morte, richiede la giusta distanza e il dovuto rispetto. Purché non cancelli e non annulli la consapevolezza di quello che, per 30 anni, Silvio Berlusconi ha rappresentato nella vita politica, sociale, civile, contribuendo in modo decisivo alla disgregazione della cultura, dell’etica e delle istituzioni di questo Paese, le cui conseguenze le paghiamo ancora oggi a carissimo prezzo. La morte di un uomo merita rispetto, ma non ipocriti caroselli e santificazioni postume, a cui stiamo già assistendo da minuti a reti quasi unificate, anche e soprattutto sul servizio pubblico. Le verità storiche non si cancellano, come non si può pretendere di cambiare, dalla sera al mattina, lo stato d’animo di chi è sempre stato orgogliosamente dall’altra parte. E forse il modo migliore, più onesto e anche dignitoso, per darne l’addio è raccontarlo per quello che è stato e ha rappresentato per milioni di noi in vita, senza falsità né ipocrisie. Non esulterò mai per la morte di qualcuno, non sono e non sarò mai così, ma, con la stessa fermezza, non mi unirò ai peana di chi vorrebbe trasformarlo di colpo in statista e in padre della patria. Col rispetto, doveroso, per chi non c’è più ma anche per noi stessi, per quello che siamo stati e quello in cui crediamo. 

Almeno questo concedetecelo. 


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