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  • 28/03/2023 11:39

Disturbo Oppositivo Provocatorio, cosa vuol dire avere un alunno con tali caratteristiche

Orizzonte Scuola Notizie Disturbo Oppositivo Provocatorio, cosa vuol dire avere un alunno con tali caratteristiche in classe? “Sudare sette camicie”. INTERVISTA a Marina Papini Di Fabio Gervasio Spesso la gestione della classe è una delle difficoltà maggiori per un insegnante, soprattutto per la loro eterogeneità. Tra i problemi da affrontare c’è quello della gestione di alunni con disturbo del comportamento. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Marina Papini, psicologa, specializzanda in psicologia cognitivo-comportamentale e collaboratrice dell’IRCCS Fondazione Stella Maris in progetti di prevenzione a scuola. benq Dottoressa Papini, lei è co-autrice del libro “DOP – Disturbo Oppositivo Provocatorio – Scuola Primaria” una guida rapida per insegnanti edito dalla Erickson. Con il Professor Muratori avevamo definito cos’è il DOP, ma cosa vuol dire avere un alunno con queste caratteristiche in classe? Avere un alunno con queste caratteristiche in classe vuol dire dover sudare sette camicie con la classe stessa. Sono bambini che possono dimostrare grandissime potenzialità ed avere un carattere adorabile per poi improvvisamente mutare e arrivare fin dal primo momento del mattino già con la giornata storta e fare di tutto per cercare di interrompere la lezione oppure accentrare l’attenzione su di sé con comportamenti che spesso sono poco piacevoli per chi si trova a doverli gestire, sia per l’insegnante che per i compagni di classe. Quindi avere questo tipo di bambini in classe vuol dire dover imparare a surfare bene tra le onde, perché a volte c’è più calma ma a volte ci sono onde molto alte. Con questa metafora voglio dire che è importante saper essere flessibili ed essere capaci di autodisciplinarsi, perché quando un bambino ti sfida apertamente o si oppone, soprattutto con bambini così piccoli come quelli della scuola primaria, è facile cader preda di pensieri che portano all’autosvalutazione o che portano ad ingaggiare questo tipo di sfide ma che rischiano di essere atteggiamenti controproducenti. Concludendo è importante sapersi disciplinare e cercare di comprendere un po’ anche il loro punto di vista, perché c’è un motivo se si comportano in questo modo, per quanto spiacevole possa essere. Stiamo parlando di un disturbo, a questo punto le chiedo perché è differente gestire la permalosità e la rabbia in un bambino con disturbo oppositivo provocatorio? La rabbia e la permalosità sono caratteristiche che ovviamente si trovano in tutti i bambini della scuola primaria, anche se queste non si configurano come un disturbo. Però in termini di frequenza con cui questi episodi di rabbia o frustrazione avvengono ed in termini di intensità con la quale vengono vissuti ed agiti sono gli aspetti che caratterizzano i bambini con DOP. Quindi possiamo affermare che le caratteristiche che distinguono i due tipi di atteggiamento sono la frequenza e l’intensità. Non è un comportamento che succede qualche volta, ma è una cosa che capita quasi tutti i giorni a questi bambini, capita molto frequentemente di essere arrabbiati, di impermalosirsi per qualsivoglia gesto, ad esempio del compagno, perché hanno come un filtro nell’interpretare il gesto dell’altro, e lo interpretano tendenzialmente in negativo verso di sé, perché il nucleo di fondo a questi bambini, che tanto sembrano spavaldi, arrabbiati o muniti di una corazza impenetrabile, in realtà è un abbassamento dell’autostima, una profonda fragilità, una sofferenza per cui loro utilizzano questi meccanismi come difesa per non mostrarsi così vulnerabili. Per cui il minimo gesto o parola del compagno, anche se in chiave ironica, vengono subito interpretati con il filtro del proprio schema che li identifica come sbagliati, insomma viene toccato il loro tallone d’Achille, e reagiscono subito impermalosendosi. Questo avviene spesso, con facilità, che cose banali, che possiamo considerare neutre, vengano interpretate con questo filtro, perché hanno fatto esperienza, nel corso della loro vita, di persone che li hanno svalutati o che non li hanno saputi capire e quindi immediatamente si attiva questa modalità, si attiva questo schema che loro hanno e di conseguenza avranno pensieri come “io sono sbagliato”, oppure “se ne sono accorti tutti che io sono così” e a questo reagiscono con la rabbia o la permalosità adottando atteggiamenti come ad esempio la lamentela continua che fanno in sottofondo, che non è particolarmente piacevole per chi gli sta intorno, però nasce da un nucleo di fragilità che non è così facile vedere ma che esiste e quindi è importante avere ben presente quando ci si rapporta con loro. Abbiamo detto che questi atteggiamenti sono delle difese che questi bambini adottano verso l’esterno. Un aspetto particolare è la sfida all’insegnante, ci spiega cosa vuol dire? Questi bambini si trovano spesso a sfidare apertamente l’insegnante già dal primo no del docente, oppure assumono un atteggiamento di diretta competizione non svolgendo il compito richiesto e adottando dei comportamenti negativi o che comunque non hanno a che fare con la richiesta pur di non fare ciò che l’insegnante ha richiesto in qualità di autorità. Fanno questo perché hanno imparato che spesso l’autorità vuol dire punizione, oppure l’essere visti negativamente, come sbagliati. È come se giocassero questo ruolo dove il pensiero fisso è legato al fatto che non si sentono compresi, che l’autorità non è in grado di comprendere la loro sofferenza, e quindi la reazione e provare a far sentire gli altri come si sentono loro. Questa aperta sfida spesso fa sentire gli altri esattamente così. Li fa sentire vulnerabili, tocca quelle corde, anche nell’insegnante, che sono le stesse identiche corde che sono quelle che attivano nel bambino quel nucleo di cui abbiamo parlato in precedenza. Allora come si affronta questa situazione, come si può provare a uscirne, per prima cosa bisogna cercare, per quanto più possibile, di non accettare questo guanto di sfida, altrimenti rinforziamo il loro concetto che l’autorità è punitiva, è cattiva, e quindi rafforziamo un atteggiamento di rivoluzione. Poi si può provare ad entrare in empatia con il bambino cercando di normalizzare il fatto che tutti a volte sbagliamo, che abbiamo delle giornate negative, che tutti a volte siamo inadeguati, quindi normalizzare quell’inadeguatezza che loro sentono in maniera così forte, come se volessimo entrate in contatto con questo aspetto per far capire al bambino che va bene che ci sia, perché ce l’abbiamo tutti, facendo vedere che noi per primi abbiamo quel particolare aspetto. Questo ci permetterà poi di poter usare questa loro carica, che li porta alla sfida, in modo positivo e costruttivo. Ad esempio potremmo assegnare a turno un ruolo di leader ad alcuni bambini, che abbiano la responsabilità di gestire alcuni aspetti della classe, come ad esempio l’uscita dalla stessa, oppure la responsabilità della gestione di una piantina, o la responsabilità di preparare del materiale, in modo che loro possano crescere nel loro senso di competenza dimostrando che c’è un’autorità diversa che crede in loro, anche se questo spesso è difficile da realizzare. Chiudiamo con un’ultima domanda. Spesso sono bambini propensi a fare dispetti in classe, creando una difficoltà nella gestione della stessa. Come possiamo gestire questo aspetto? Il dispetto lo fanno perché sono bravi nel farlo, è una delle cose che gli riesce meglio. Adottando questo atteggiamento loro ottengono attenzione, perché spesso a questi dispetti i loro compagni ridono, magari non chi lo subisce, e questo è gratificante, li fa sentire bene. A questo si aggiunge il fatto che di base sono un po’ impulsivi e non riescono a pensare bene alle conseguenze più in là nel tempo di questi comportamenti. Nel loro immaginario il dispetto finisce nel momento in cui l’hanno fatto e gli altri hanno riso, invece poi ci sono delle conseguenze successive alle quali loro fanno fatica ad accedere. Spesso c’è anche una scarsa empatia, per cui non valutano le conseguenze reali che questi atteggiamenti possono avere, quindi mettono in atto questi comportamenti dispettosi creando un po’ di confusione in classe. Come dicevo precedentemente rispetto al ruolo di leader, siccome questa cosa di fare dispetti gli riesce bene, sono un po’ burloni, si può pensare ad un piccolo momento durante la giornata scolastica da destinare alla realizzazione di sketch comici al fine di liberalizzare il dispetto, lo scherzo, di modo che ci sia un’attenzione positiva verso questi tipi di comportamenti e ci sia un clima di accettazione all’interno di un tempo strutturato nel quale è possibile farlo. Un altro strumento utile è quello di aiutare a creare un segnale di stop condiviso con la classe, ovvero insegnante e compagni di classe. Sappiamo che il nostro compagno ama scherzare e a volte non lo fa apposta, non se ne rende conto quando esagera, questo permette di dare una spiegazione anche agli altri bambini di comprendere meglio e di evitare atteggiamenti di esclusione del bambino con DOP. Il segnale di stop permette agli altri soggetti coinvolti di poter far capire al bambino con disturbo del comportamento che sta esagerando e che deve fermarsi. Semplicemente mostrando il segnale di stop precedentemente concordato permette al bambino di focalizzare meglio la sua attenzione. Come dicevo prima per quanto riguarda la scarsa empatia, un segnale di “stop” che fermerebbe un altro bambino lui non lo vede proprio e va avanti, quindi bisogna aiutarlo in questo. Concludendo possiamo affermare che non esiste una regola precisa su come interagire con questi bambini, ogni caso è unico, però spero che queste pillole possano essere di aiuto a chi si trova ad interagire quotidianamente con loro.

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