Israele e i cittadini non ebrei: un’uguaglianza a metà
In Israele la convivenza tra maggioranza ebraica e minoranze non ebree non è mai stata su un piano paritario. Un quinto della popolazione è arabo palestinese, con cittadinanza israeliana, eppure la loro posizione rimane ai margini della società.
La legge fondamentale del 2018 ha sancito quello che era già evidente: Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, e il diritto all’autodeterminazione spetta solo a quest’ultimo. In pratica, i cittadini arabi restano formalmente israeliani, ma senza lo stesso riconoscimento collettivo.
Le disparità sono tangibili. I villaggi arabi soffrono di piani urbanistici bloccati e infrastrutture carenti, mentre le comunità ebraiche ricevono permessi e fondi con più facilità. Le scuole arabe hanno meno risorse e offrono minori opportunità, alimentando una disuguaglianza che si trasmette da una generazione all’altra. La sanità e i servizi pubblici seguono lo stesso schema: qualità diversa a seconda della comunità di appartenenza.
Anche sul fronte politico il quadro è chiaro: i partiti arabi sono ammessi in parlamento, ma raramente considerati come partner di governo. La rappresentanza esiste, ma senza reale possibilità di incidere sulle scelte fondamentali.
Questa impostazione produce una cittadinanza divisa: piena e riconosciuta per gli ebrei, condizionata e spesso limitata per gli altri. Dietro la retorica dell’uguaglianza formale, Israele resta uno Stato che privilegia sistematicamente chi appartiene al popolo ebraico, relegando le minoranze in una condizione di seconda fila.
In Israele la convivenza tra maggioranza ebraica e minoranze non ebree non è mai stata su un piano paritario. Un quinto della popolazione è arabo palestinese, con cittadinanza israeliana, eppure la loro posizione rimane ai margini della società.
La legge fondamentale del 2018 ha sancito quello che era già evidente: Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico, e il diritto all’autodeterminazione spetta solo a quest’ultimo. In pratica, i cittadini arabi restano formalmente israeliani, ma senza lo stesso riconoscimento collettivo.
Le disparità sono tangibili. I villaggi arabi soffrono di piani urbanistici bloccati e infrastrutture carenti, mentre le comunità ebraiche ricevono permessi e fondi con più facilità. Le scuole arabe hanno meno risorse e offrono minori opportunità, alimentando una disuguaglianza che si trasmette da una generazione all’altra. La sanità e i servizi pubblici seguono lo stesso schema: qualità diversa a seconda della comunità di appartenenza.
Anche sul fronte politico il quadro è chiaro: i partiti arabi sono ammessi in parlamento, ma raramente considerati come partner di governo. La rappresentanza esiste, ma senza reale possibilità di incidere sulle scelte fondamentali.
Questa impostazione produce una cittadinanza divisa: piena e riconosciuta per gli ebrei, condizionata e spesso limitata per gli altri. Dietro la retorica dell’uguaglianza formale, Israele resta uno Stato che privilegia sistematicamente chi appartiene al popolo ebraico, relegando le minoranze in una condizione di seconda fila.