LUCCA BARRUECA: Un viaggio nella tradizione musicale tra note e sapori
Domenica 5 ottobre: ORE 19 ...
Le polemiche sul curriculum di Beatrice Venezi? Strano, quando toccò al suo predecessore nessuno fiatò
C’è chi si scandalizza per la nomina di Beatrice Venezi alla guida musicale della Fenice. Curriculum poco adatto, dicono. Eppure, a guardare indietro, viene da sorridere: nel 2011 fu scelto Diego Matheuz, 27 anni, nessuna esperienza operistica, allievo di Abbado e prodotto di “El Sistema” venezuelano, il programma di formazione musicale sostenuto dal socialismo di Chavez e Maduro. Allora nessuna sollevazione. Nessuno sciopero, nessuna raccolta firme. Anzi, applausi.
Oggi invece si invocano petizioni e si parla di “pericolo” solo perché Venezi non appartiene al giro giusto. È il commento di Federico Mollicone (FdI), che ricorda i 160 concerti sinfonici, le 50 opere, i riconoscimenti internazionali della direttrice: «La sinistra ulula solo perché non ha tessere di partito».
Prima di schierarsi apertamente con Giorgia Meloni, Venezi era osannata come giovane stella della musica classica. Da allora le sue dichiarazioni – la stima per la premier, le critiche a una sinistra accusata di aver usato la cultura come fortino di potere – l’hanno resa un bersaglio. Il “peccato originale” sembra essere questo, non il curriculum.
La memoria corta non aiuta: chi oggi grida allo scandalo dimentica che il vero discrimine non è la competenza, ma l’appartenenza. Per Matheuz, giovanissimo e inesperto, bastò il timbro di Abbado e un background in linea. Per Venezi, con più titoli e più esperienza, il problema è un altro: non fa parte del circoletto.
Da:
Il Timone lucchese
Beatrice Venezi, ilgranco padre (ex Forza Nuova) la difende: «Non ha le competenze perché figlia di un picchiatore di destra? Ho smesso di fare politica per non ostacolarla
Come sta Beatrice
Gabriele dice che ha sentito Beatrice in questi giorni, anche se lei è a Bangkok per una serie di concerti: «Come vuole che stia? Si sente amareggiata per le polemiche e le bugie scritte e dette sul suo conto». Secondo lui le proteste nei confronti della competenza della figlia sono «una difesa politica di privilegi che non hanno più senso. C’è chi si è spinto a scrivere che mia figlia non abbia neppure i titoli di studio per la direzione. Un cumulo di bugie e di critiche da parte di incompetenti. Beatrice dirige ora il Teatro Colón a Buenos Aires. Sta preparando La Traviata per il centenario di uno dei teatri più prestigiosi del mondo, non solo dell’America Latina. Ha scritto quattro libri, ha inciso dischi e ha diretto orchestre celebri. Ma nessuno guarda il curriculum, sono tutti accecati da qualcos’altro"
Neanche fosse un personaggio importante, tutto questa baraonda per una cavolata del genere, viene data troppa importanza ad una situazione che importa a ben pochi.Che se la sbrighino da soli i patiti di questo genere, ci sono cose più importanti da dare spazio sulla stampa, gente che non arriva a fine mese per stipendi da fame , date voce a questi che ne hanno diritto
Mandatela a dirigere all’estero Londra, Parigi vediamo se lì sarebbe ben accetta.Da quello che la stampa dice non è gradita qui in Italia, quindi dovrebbe capire di ritirarsi da sola.
Anonimo - 29/09/2025 06:58Fenice, il caso Venezi: ipocrisia, politica, ideologia e gender dietro le polemiche
1. Un teatro che protesta… a senso unico
L’orchestra e le maestranze della Fenice hanno inscenato proteste clamorose contro la nomina di Beatrice Venezi come direttrice musicale dal 2026 al 2030. Applausi, volantini, dichiarazioni indignate: lo stato di agitazione permanente sembra la risposta a un sopruso. Ma dietro l’apparente difesa del “merito”, emergono contraddizioni che rivelano un’altra verità: più che di arte, qui si parla di ipocrisia e ideologia.
2. Il curriculum usato come alibi
Venezi è stata accusata di non avere esperienza sufficiente per guidare la Fenice. Eppure il suo curriculum racconta altro: più di 160 concerti sinfonici diretti, oltre 40 recite operistiche, incarichi con orchestre italiane e internazionali, da Londra a Buenos Aires. Dire che “non è all’altezza” suona come un pretesto: la giovane direttrice non è inesperta, semplicemente non appartiene ai circuiti tradizionali che controllano le poltrone del teatro.
3. La politica c’è, ma dalla parte sbagliata
Si accusa Venezi di essere una nomina “politica” perché giovane, donna e percepita vicina al governo. Ma la verità è che la politica entra soprattutto nella protesta: chi difende equilibri di potere consolidati usa lo slogan della “trasparenza” per respingere chi rompe schemi. Il voto unanime del Consiglio della Fondazione e l’appoggio del sovrintendente dimostrano che la scelta è stata istituzionale, non arbitraria. Le critiche sembrano piuttosto il riflesso di una resistenza corporativa, più che un vero scandalo.
4. L’ideologia del “curriculum perfetto”
Si invoca la tradizione della Fenice come se fosse un dogma: solo chi ha già diretto grandi cicli operistici a Venezia sarebbe degno. Ma così si esclude chi porta novità, freschezza e prospettive diverse. È un’ideologia travestita da “merito”, che in realtà protegge lo status quo. La stessa frase letta in sala — «La musica non ha colore, non ha genere, non ha età» — rivela l’ipocrisia: viene gridata per negare che proprio genere ed età abbiano pesato nelle critiche.
5. Gender come scudo… o arma
Un elemento fondamentale è il ruolo del gender: se Venezi fosse stata apertamente lesbica o appartenente a una comunità percepita come progressista, probabilmente alcune frange del pubblico e dei media l’avrebbero celebrata con slogan tipo “evviva la musica libera”. Invece, essendo una donna giovane ma non “politicamente corretta” in senso liberal-progressista, il genere diventa strumento di delegittimazione. Il gender agisce quindi come arma quando sfida il potere tradizionale e come scudo quando allinea a narrative di inclusione, indipendentemente dalle competenze artistiche reali.
6. La politica e la “cancel culture” selettiva
La vicenda Venezi mostra anche il funzionamento selettivo della cancel culture. Le accuse di favoritismo politico o di nomina “sbagliata” emergono soprattutto perché la direttrice non appartiene al gruppo liberal-progressista dominante in certe élite culturali. Se Venezi fosse stata percepita come allineata a questa corrente, il sostegno mediatico sarebbe stato massiccio e nessuno avrebbe parlato di scandalo. Invece, la protesta dimostra che la cancel culture funziona come filtro ideologico: si decide chi può essere legittimato e chi no, trasformando critiche professionali in battaglie politiche.
7. Conclusione
La vicenda Fenice non è uno scontro sul merito, ma un teatro di ipocrisie, lotte di potere e narrativa selettiva:
• Ipocrisia, perché si brandisce il curriculum come arma quando il problema è il controllo delle poltrone.
• Politica, perché le accuse di “nomina politica” servono a difendere rendite interne, non a valutare competenze.
• Ideologia, perché si invoca la tradizione come barriera contro l’innovazione.
• Gender, perché il fatto che Venezi sia donna viene strumentalizzato: arma contro di lei se non conforme al mainstream, scudo se allineata alle narrative progressiste.
• Cancel culture selettiva, perché la legittimazione o la condanna dipendono dalla rete politica/ideologica di appartenenza, non dai meriti effettivi.
In questo gioco di specchi, chi appare come vittima della politica rischia di esserne in realtà il protagonista: l’orchestra che protesta. La nomina di Beatrice Venezi segna un tentativo di apertura che un teatro come la Fenice non dovrebbe temere, ma che mette in luce i limiti della cultura del sospetto e della selezione ideologica.
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