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  • 27/09/2025 15:10

Speranza Scappucci e Beatrice Venezi: due volti opposti della direzione d’orchestra

Nel panorama italiano della direzione d’orchestra emergono due figure femminili che hanno conquistato visibilità in modi molto diversi: Speranza Scappucci e Beatrice Venezi. Entrambe direttrici, entrambe giovani rispetto alla tradizione del podio, ma con traiettorie e percezioni quasi antitetiche. Speranza Scappucci: la solidità senza clamore Romana, formatasi tra Vienna e New York, Scappucci ha diretto nei maggiori teatri d’opera del mondo: dal Met alla Scala, dall’Opera di Vienna a Zurigo. È considerata una professionista seria, affidabile, capace di gestire produzioni complesse con rigore e precisione. Eppure, nel mondo musicale circola un giudizio ambivalente: per molti è una “mestierante di lusso”, più che una personalità artistica dirompente. Le sue interpretazioni vengono definite spesso corrette, ordinate, ma non memorabili. Non ha il carisma di un Karajan né la forza interpretativa di una Abbado: è vista più come garante di efficienza che come creatrice di visioni. Fuori dai teatri, inoltre, il suo nome è quasi sconosciuto. Scappucci non ha mai puntato sull’immagine, sulla comunicazione o sulla divulgazione, e questo l’ha resa invisibile al pubblico italiano generalista. Beatrice Venezi: immagine e popolarità All’opposto, Beatrice Venezi ha scelto un percorso fortemente mediatico. Giovane, glamour, presenza costante in talk show e festival come Sanremo, ha saputo dare alla figura del direttore d’orchestra un volto pop. Il suo pregio principale è la capacità di parlare al grande pubblico, usando un linguaggio semplice e diretto. Ha contribuito a portare la musica classica in contesti dove di solito non arriva. Tuttavia, il suo curriculum artistico è meno consistente di quello di Scappucci. Non ha ancora alle spalle una carriera internazionale di peso, e il suo nome è associato più a interviste e polemiche che a produzioni memorabili. Per molti addetti ai lavori, è più personaggio televisivo che musicista. Come le vedono dentro e fuori All’estero: Scappucci è stimata come professionista seria, pur senza essere considerata una “grande interprete”. Venezi, invece, resta quasi assente: il suo nome circola poco oltre l’Italia. In Italia: Venezi gode di altissima visibilità mediatica, pur con una reputazione divisiva. Scappucci è apprezzata dagli appassionati di lirica ma quasi sconosciuta al pubblico più vasto. Due estremi dello stesso ruolo Il confronto porta a una sintesi netta: Scappucci = sostanza senza immagine. Una carriera robusta, ma senza carisma mediatico e con interpretazioni spesso giudicate poco incisive. Venezi = immagine senza sostanza. Grande visibilità, capacità comunicativa, ma un curriculum ancora fragile sul piano musicale. Una riflessione più ampia Il loro confronto racconta qualcosa del mondo della musica di oggi. Da un lato, la diffidenza verso i direttori percepiti come “mestieranti”, ossia solidi ma non geniali; dall’altro, lo scetticismo verso chi punta sull’immagine più che sull’arte. In mezzo resta la domanda aperta: per essere riconosciuti oggi, serve più il rigore del mestiere o la capacità di comunicare al pubblico? Forse la risposta sta nella sintesi che né Scappucci né Venezi, per ora, incarnano del tutto. Il Grillo Canterino

I commenti

Fenice, il caso Venezi: ipocrisia, politica, ideologia e gender dietro le polemiche

1. Un teatro che protesta… a senso unico

L’orchestra e le maestranze della Fenice hanno inscenato proteste clamorose contro la nomina di Beatrice Venezi come direttrice musicale dal 2026 al 2030. Applausi, volantini, dichiarazioni indignate: lo stato di agitazione permanente sembra la risposta a un sopruso. Ma dietro l’apparente difesa del “merito”, emergono contraddizioni che rivelano un’altra verità: più che di arte, qui si parla di ipocrisia e ideologia.

2. Il curriculum usato come alibi

Venezi è stata accusata di non avere esperienza sufficiente per guidare la Fenice. Eppure il suo curriculum racconta altro: più di 160 concerti sinfonici diretti, oltre 40 recite operistiche, incarichi con orchestre italiane e internazionali, da Londra a Buenos Aires. Dire che “non è all’altezza” suona come un pretesto: la giovane direttrice non è inesperta, semplicemente non appartiene ai circuiti tradizionali che controllano le poltrone del teatro.

3. La politica c’è, ma dalla parte sbagliata

Si accusa Venezi di essere una nomina “politica” perché giovane, donna e percepita vicina al governo. Ma la verità è che la politica entra soprattutto nella protesta: chi difende equilibri di potere consolidati usa lo slogan della “trasparenza” per respingere chi rompe schemi. Il voto unanime del Consiglio della Fondazione e l’appoggio del sovrintendente dimostrano che la scelta è stata istituzionale, non arbitraria. Le critiche sembrano piuttosto il riflesso di una resistenza corporativa, più che un vero scandalo.

4. L’ideologia del “curriculum perfetto”

Si invoca la tradizione della Fenice come se fosse un dogma: solo chi ha già diretto grandi cicli operistici a Venezia sarebbe degno. Ma così si esclude chi porta novità, freschezza e prospettive diverse. È un’ideologia travestita da “merito”, che in realtà protegge lo status quo. La stessa frase letta in sala — «La musica non ha colore, non ha genere, non ha età» — rivela l’ipocrisia: viene gridata per negare che proprio genere ed età abbiano pesato nelle critiche.

5. Gender come scudo… o arma

Un elemento fondamentale è il ruolo del gender: se Venezi fosse stata apertamente lesbica o appartenente a una comunità percepita come progressista, probabilmente alcune frange del pubblico e dei media l’avrebbero celebrata con slogan tipo “evviva la musica libera”. Invece, essendo una donna giovane ma non “politicamente corretta” in senso liberal-progressista, il genere diventa strumento di delegittimazione. Il gender agisce quindi come arma quando sfida il potere tradizionale e come scudo quando allinea a narrative di inclusione, indipendentemente dalle competenze artistiche reali.

6. La politica e la “cancel culture” selettiva

La vicenda Venezi mostra anche il funzionamento selettivo della cancel culture. Le accuse di favoritismo politico o di nomina “sbagliata” emergono soprattutto perché la direttrice non appartiene al gruppo liberal-progressista dominante in certe élite culturali. Se Venezi fosse stata percepita come allineata a questa corrente, il sostegno mediatico sarebbe stato massiccio e nessuno avrebbe parlato di scandalo. Invece, la protesta dimostra che la cancel culture funziona come filtro ideologico: si decide chi può essere legittimato e chi no, trasformando critiche professionali in battaglie politiche.

7. Conclusione

La vicenda Fenice non è uno scontro sul merito, ma un teatro di ipocrisie, lotte di potere e narrativa selettiva:
• Ipocrisia, perché si brandisce il curriculum come arma quando il problema è il controllo delle poltrone.
• Politica, perché le accuse di “nomina politica” servono a difendere rendite interne, non a valutare competenze.
• Ideologia, perché si invoca la tradizione come barriera contro l’innovazione.
• Gender, perché il fatto che Venezi sia donna viene strumentalizzato: arma contro di lei se non conforme al mainstream, scudo se allineata alle narrative progressiste.
• Cancel culture selettiva, perché la legittimazione o la condanna dipendono dalla rete politica/ideologica di appartenenza, non dai meriti effettivi.

In questo gioco di specchi, chi appare come vittima della politica rischia di esserne in realtà il protagonista: l’orchestra che protesta. La nomina di Beatrice Venezi segna un tentativo di apertura che un teatro come la Fenice non dovrebbe temere, ma che mette in luce i limiti della cultura del sospetto e della selezione ideologica.

Elione - 28/09/2025 21:27

Scappucci è Scappucci ma non e' una grande cosa

elio - 28/09/2025 19:21

Cosa stiamo a paragonare?
Carriera "sommessa" contro carriera "mediatica"? Fuorviante !!
La verità? Scappucci cosa c'entra con prestigiosi incarichi tipo la Fenice di Venezia? Non ha le basi.
Mica è figlia di uno degli eroici camerati di Forza Nuova.
Vuoi mettere?

JD - 28/09/2025 17:31

Avrà esperienza allora come i grandi maestri che orchestrano fino a tarda età

Tardolescenti - 28/09/2025 12:31

Capisco che oggi si è giovani fino ad età che al tempo di mio nonno erano considerate assai mature, ma la Venezi è del 1990, ovvero ha 35 anni, se la matematica non è un'opinione. Ovviamente è tutt'altro che "vecchia", ma se la vita professionale di una persona la vogliamo anche far arrivare a 75 anni, mi sento di dire che a 45 anni giovani non si è più, bensì si è di mezza età. La Venezi dunque è una donna fatta, ancora giovane, ma non certo appena arrivata sulla scena della vita e professionale. Tra meno di cinque anni sarà a 40 e tra 10 anni sarà appunto a 45.

anonimo - 28/09/2025 04:01

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